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“Turisti go home”, si diffonde il numero chiuso

– Dalla Grecia al Giappone, da Barcellona a Palermo crescono le proteste contro l’invasione incontrollata del popolo dei vacanzieri con conseguenze pesanti per la gente del luogo, come la gentrificazione
– «Il turismo uccide la città in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica», scrive Marco D’Eramo
– Molte città hanno cominciato a porre dei limiti. In Sicilia è Siracusa la città-simbolo della degenerazione: microinvestimenti orientati alla creazione di microrendite, investimenti opachi che hanno drogato il settore dell’offerta

Alle ore 12 dell’ultima domenica d’estate del 2023 non ci sono più biglietti per accedere al Partenone. Un manipolo di visitatori che hanno salito a piedi, sotto il solleone, il sacro colle che conduce all’Acropoli, dedicato a maggior gloria della dea Atena nel V secolo a.C., si confrontano con la nuova politica per accedere alle attrazioni turistiche della capitale grigia. All’ingresso alcuni tentano di negoziare, senza successo. «È come se vai a teatro e non ci sono posti: non ti fanno entrare. Qui succede la stessa cosa», ragiona una guardia di sicurezza, imitando un dialogo socratico, davanti a un turista brasiliano. Dallo scorso settembre Atene ha deciso di limitare la visita al monumento a 20mila ingressi al giorno, con una cadenza di circa 2mila alla volta, per evitare il rischio di saturazione.

Limiti e numero chiuso

Prima era stata Amsterdam a chiudere il suo terminal crociere nel centro storico e ha lanciato una campagna per scoraggiare le visite degli uomini britannici, oltre a limitare il traffico notturno nel quartiere a luci rosse. Dalla primavera del 2023, il famigerato quartiere a luci rosse della città olandese, famoso per la tolleranza alla prostituzione e alla droga, ha intrapreso passi verso una relativa razionalizzazione: i bar chiudono all’1 invece che alle 2, e il “sex work” è stato interrotto tra le 3 e le 6 del mattino. 

In Islanda, il canyon Fjaðrárgljúfur ha dovuto chiudere al pubblico dopo essere apparso in Il Trono di Spade e in un video di Justin Bieber. E in Austria, gruppi di manifestanti hanno protestato l’anno scorso contro il turismo nella città di Hallstatt, patrimonio dell’umanità, dove vivono 700 abitanti, ma che riceve circa 10.000 visitatori al giorno in alta stagione.

Parigi, dopo la pausa segnata dalla pandemia, anche il Museo del Louvre ha optato per il numerus clausus nel giugno 2022: da allora ha messo in vendita un massimo di 30mila biglietti al giorno e dà accesso solo ai visitatori spontanei «in caso di scarso numero di biglietti». Per entrare, nella maggior parte dei casi, è necessario acquistare in anticipo il biglietto online.

Poi è stata la volta di Venezia a adottare dalla scorsa primavera il numero chiuso. La città lagunare ha visto un drastico calo della popolazione residente a favore dell’afflusso turistico. Le politiche di turismo a numero chiuso, come le limitazioni agli accessi e le tariffe di ingresso, mirano a preservare il tessuto urbano e sociale della città. 

Barcellona ha adottato misure per limitare l’espansione degli affitti brevi, cercando di contrastare la gentrificazione che ha trasformato quartieri storici come El Raval e La Barceloneta. La città sta cercando di bilanciare le esigenze dei residenti con quelle dei turisti, promuovendo un turismo più sostenibile e meno invasivo.

Le Cinque Terre, in Liguria, hanno introdotto un sistema di contingentamento per limitare il numero di visitatori giornalieri. Questo approccio mira a proteggere il fragile ecosistema e a garantire che i piccoli borghi mantengano la loro autenticità e vivibilità.

Dal primo luglio, in Giappone, per salire sul Monte Fuji, l’iconico vulcano, uno dei simboli del Paese ma anche montagna sacra per i giapponesi, si pagherà un biglietto e con numero chiuso. Le autorità locali: «Troppi danni dai turisti». Il sentiero Yoshida sul che porta al Monte Fuji sarà operativo con un limite giornaliero di 4mila visitatori che saranno filtrati all’ingresso che dovrà essere prenotato (ma poi il pagamento deve avvenire in loco e solo cash). La tariffa è di 2mila yen (12,50 dollari). Gli scalatori riceveranno un braccialetto che consentirà l’accesso al sentiero tra le 3:00 e le 16:00.

La protesta dilaga

Dalle Baleari alle Canarie, fino alle isole greche e in Sicilia si diffonde la protesta contro i vacanzieri. “Turist go home” urlano a Barcellona sparando con le pistole ad acqua, in Grecia bombardando con droni sulle spiagge. 

«Santa Rosalia, la turistificazione è la nuova peste, dov’è finita casa mia?» recitava uno striscione calato tra due edifici in occasione della sfilata di Santa Rosalia a Palermo, il 15 luglio scorso, per lanciare un’Assemblea permanente di resistenza all’overtourism il 24 luglio a piazzetta del Pallone alla Kalsa. «Il turismo e tutto il suo indotto porta con sé conseguenze sempre più pesanti per l’accesso alla casa, drogando il mercato degli affitti attraverso piattaforme turistiche come Airbnb o Booking.com. Chi cerca casa a Palermo trova ormai quasi solo appartamenti fatiscenti o a prezzi esorbitanti, non più solo in centro storico ma in fasce sempre più ampie della città». “Tourism kills the city” si legge nelle scritte sui muri del Foro Italico e di Via Porta di Castro nel capoluogo siciliano. 

Proteste a Palermo

Napoli, che ha raggiunto quota 10.760 annunci su Airbnb, di cui l’80% è nel centro storico e il 63% è operato da multiproprietari che locano più di un appartamento a turisti, il collettivo Set – Campagna Resta Abitante ha lanciato una raccolta firme per chiedere lo stop immediato all’apertura di nuovi b&b nel centro storico, la giusta proporzione tra posti letto turistici e posti letto residenziali in ogni quartiere, e la conversione degli immobili abbandonati di proprietà del Comune a scopi abitativi, con gestione pubblica. «La diseconomia turistica sta sottraendo case ad abitanti, fa aumentare gli affitti in tutti i quartieri, produce lavoro nero e precario, mercifica lo spazio pubblico, la costa, le spiagge e il mare» scrivono gli attivisti.

Il fenomeno della “gentrificazione”

Il turista, una volta desiderato e accolto a braccia aperte, diventa la figura contemporanea perfetta da odiare, deridere. Una reazione conseguente ai paventati rischi che comporta la gentrificazione che avevamo anticipato sei anni fa in un nostro articolo:

1. Trasformazione dei quartieri, Quartieri gentrificati diventano più attrattivi per i turisti grazie a nuovi servizi, ristoranti, gallerie d’arte e negozi. Tuttavia, questo può portare a un’omogeneizzazione dell’offerta turistica, riducendo l’autenticità delle esperienze.

2. Aumento dei prezzi: L’aumento dei costi abitativi si riflette nei prezzi degli alloggi turistici, rendendo alcune destinazioni meno accessibili ai turisti con budget limitati.

3. Espulsione dei residenti: La perdita della popolazione locale autentica può impoverire l’esperienza culturale dei turisti, che si trovano a visitare luoghi meno vivi e più commercializzati.

Siracusa, simbolo dell’overtourism

In Sicilia, il simbolo di questa degenerazione del turismo è Siracusa. Passeggiando tra le viuzze di Ortigia, si cammina nel caos. E non per la massiccia presenza di turisti, ma perché strade e piazze sono occupate da tavolini di ristoranti, paninerie, friggitorie, gelaterie. Una vera e propria invasione, disordinata, eccessiva, senza controllo e controlli. 

Questo boom di iniziative legate al food e al turismo avviene in uno scenario che invece non cambia. A Siracusa si può incontrare qualche scarafaggio e si può confondere la puzza di cipolla con il piscio di un gatto. I rifiuti poi… Non si avverte a Siracusa la crescita dei servizi (inesistenti), la cura e la pulizia da parte delle amministrazioni comunali (latitanti), la creazione di attività ricreative e culturali valide. Tutto è lasciato all’improvvisazione. 

La migliore descrizione del clima che si è creato oggi intorno al turismo l’aveva data Jarvis Cocker dei Pulp in Common People, la storia della ragazza ricca che voleva scoprire come viveva la gente comune a Londra e lui non sapeva come dirle che, insomma, quello che lei trovava così interessante in realtà faceva schifo, che l’autenticità – l’illusoria materia prima alla base dell’esperienza turistica – è un’idea della vita piuttosto inutilizzabile.

Città poco accoglienti in termini di servizi e organizzazione, mosse da microinvestimenti orientati alla creazione di microrendite, da investimenti opachi che hanno drogato il settore dell’offerta alberghiera (quanti bed&breakfast o case vacanze fantasma) ed enogastronomica (tant’è che se trent’anni fa era praticamente impossibile mangiare male in città come Roma, Firenze, Napoli e Palermo, oggi è difficilissimo mangiare bene), e da una movida che ha sbaragliato ogni politica culturale degna di questo nome.

Fare della Sicilia un brand significa favorire un’economia effimera incapace di ridistribuire ricchezza e di avere una ricaduta occupazionale che non sia precaria se non del tutto sommersa. La svendita deregolamentata dello spazio urbano mortifica, al contempo, anche quei risvolti economico-culturali potenzialmente capaci di dialogare in modo virtuoso con l’industria turistica. Non solo si uccidono le città, ma viene dispersa una identità. Nell’isolotto di Ortigia sono scomparsi macellai, verdurai, panettieri, ciabattini, sostituiti da trattorie, gelaterie, negozi di souvenir e di abbigliamento. La decantata “sicilianità” si trasforma in quel vituperato folklore fatto di luoghi comuni, di “ciuri ciuri” e “vitti ‘na crozza”, di pasta con la Norma, arancine e t-shirt con l’immagine del Padrino, che si mescolano con esotismi d’importazione: hamburger, kebab, hot dog, cocktail. La globalizzazione fagocita il glocal. Le città turistiche si piegano ai modelli imposti dall’industria del turismo, che omologano tutto e fanno sì che il visitatore straniero trovi le sue comodità ovunque si trovi. 

Il turismo uccide la città in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica

«Il turismo uccide le città»

«Il turismo uccide la città in modo più sottile, svuotandola di vita, privandola dell’interiore, proprio come nella mummificazione, facendola diventare un immenso parco a tema, un’immensa Disneyland storica», scrive Marco D’Eramo nel libro Il Selfie del Mondo. Indagine sull’età del turismo (Feltrinelli editore). Musei e paninoteche, ruderi e boutique di lusso, suoni e luci tra pizze al taglio e ristoranti stellati, isole pedonali, e poi tanti dormitori eleganti per ceti medi. E tra i killer c’è l’Unesco, accusa D’Eramo. L’etichetta di “Patrimonio dell’umanità” è «letale»: dove viene apposta la label, letteralmente la città muore. 

La gentrificazione e il turismo a numero chiuso sono fenomeni interconnessi che richiedono un approccio integrato e sostenibile. Se la gentrificazione può trasformare i quartieri e renderli più attrattivi per i turisti, è tuttavia essenziale che le politiche di gestione del turismo considerino l’impatto su residenti e ambiente. Il turismo a numero chiuso offre una possibile soluzione per bilanciare questi interessi, ma richiede una pianificazione attenta e la partecipazione attiva di tutte le parti interessate. Solo attraverso un approccio partecipativo è possibile garantire che le città e le destinazioni naturali possano prosperare senza perdere la loro identità e vivibilità.

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