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Tullio De Piscopo torna a “Stop Bajon”

– Il batterista napoletano pubblica il remix del brano che quarant’anni fa lo rese popolare nel mondo. Un progetto che aveva anticipato l’anno scorso a Segnalisonori
È considerato il primo esempio di rap italiano ed a scoprirlo fu un dj americano. «Non l’ho voluto stravolgere troppo, per presentarlo ai ragazzi: li farà ballare ancora a lungo»

Quando il dj americano Ron Hardy nella seconda metà degli anni Ottanta creava a San Francisco l’house music, la sua console suonava Stop Bajon di Tullio De Piscopo. In seguito, quasi tutti i più popolari dj in Europa hanno creato proprie versioni remix di Stop Bajon: Ashley Beedle, Parcels Band, Thomas Bangalter, Bob Sinclair, Gaspard Augé e Michael Gray con un remix di due anni fa. Esattamente quarant’anni dopo, tocca al suo autore rimettere mani su Stop Bajon e pubblicare il suo remix. Un progetto che aveva anticipato a segnalisonori l’anno scorso quando fu ospite di Milo Opera Festival. «Ho ripreso Stop Bajon senza stravolgerlo troppo, per presentarlo ai ragazzi: li farà ballare ancora a lungo», tiene a sottolineare Tullio De Piscopo, l’uomo chiamato Tamburo.

Per molti è il primo esempio di rap, non solo napoletano, ma italiano. Percussioni protagoniste, basso sincopato, un riff mediterraneo, profumi newpolitani, un dialogo tra organo Hammond e tromba… Venne registrato nel 1984 a Formia negli studi Bagaria di Pino Daniele assieme ad un incredibile mix di musicisti: il grande jazzista Don Cherry al pocket trumpet ed alla chitarra africana dussun’guni, Famadou Don Moye per decenni colonna ritmica dell’Art Ensemble of Chicago, e poi i grandissimi Rino Zurzolo al basso e Joe Amoruso alle tastiere. Pino Daniele alla chitarra e Tullio De Piscopo alla batteria e alle percussioni. Tullio De Piscopo volle intitolarlo Stop Bajon dal ritmo dell’omonimo ballo latino-americano che suo padre Giuseppe, anch’egli batterista, gli aveva insegnato da piccolo.

«Da ragazzino in via Carbonara mi incantavo ad ascoltare alla radio, eravamo negli anni Cinquanta, la sigla di Ballate con noi, una trasmissione radiofonica di quello che allora si chiamava il Programma Nazionale, l’unica rete disponibile», ricorda. «Papà mi spiegò che quel ritmo era un bajon, veniva dal Nord-Est brasiliano. Mi è rimasto in testa sino a quando non l’ho suonato e cantato: con “Stop” volevo dire che archiviavo la vecchia danza per far esplodere la mia nei vicoli di Napoli».

E segnò anche la svolta canora dell “uomo tamburo”. Tullio De Piscopo si alzò dal seggiolino nascosto da piatti e casse per mettersi in prima fila, martellando i bonghi e “rappando” al microfono. «Un suggerimento di Pino Daniele: “Siì bravo, ma devi canta’ se vuoi farti notare davvero”, mi ripeteva. Ci avevo già tentato in dischi precedenti, in pezzi come Mbriacate tu, ma era poco più di uno scat, o Vesale, il primo reggaeton italiano».

Tullio De Piscopo

Il pezzo fu ribattezzato Primmavera per via del ritornello: “Ma quanno ascimmo fora sarrà primmavera, primmavera, primmavera”. Il brano segnò anche la fine del supergruppo con Pino Daniele. Nello stesso anno, il 1984, anche Tony Esposito cominciava la carriera solista con il brano Kalimba de luna. L’anno dopo De Piscopo sfornò ‘E fatte e sorde, nel 1988 Andamento lento, continuando così a frequentare le hit parade e la televisione, «ma non ho mai smesso di suonare jazz, musica classica, suoni latini, di contaminare mondi di diversi, di insegnare e di amare Pino Daniele…», tiene a precisare. «Andamento lento mi ha dato la possibilità economica di comprare la casa che la mia famiglia si meritava. Avevo fatto tutte quelle cose, ma non si vedeva una lira. Gli altri prendevano i soldi, la Siae, le royalties. Noi musicisti cifre ridicole, talvolta dopo sei/sette mesi. Quella canzone mi ha permesso di realizzare i sogni che mi costruivo da bambino. Io sono stato un cacciatore di sogni. Alcuni li ho realizzati, altri ne ho in mente».

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