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Taylor Swift, un brand di successo

– Come ogni sera, anche a Milano ha interpretato la solita scaletta: quasi tre ore per 45 canzoni. Ma del suo “Eras Tour” si ricorderanno soltanto i numeri: di biglietti venduti, di soldi incassati. Ma nessuno ha mai calcolato l’impatto economico degli show degli U2 o del concerto di Vasco Rossi a Modena
– Più che un’artista la cantante americana è un brand, un marchio, si va ai suoi concerti come ci si mette in coda per l’ultimo iPhone: per sentirsi parte di una comunità, di un club, per soddisfare il nostro desiderio umano di connessione e appartenenza, compriamo Nike, Apple, Hogan, Taylor Swift

Cosa rimarrà dell’Eras Tour di Taylor Swift? Forse un braccialetto, il ricordo di una esperienza eccitante, ma soprattutto numeri: di biglietti venduti, di soldi incassati. Che consentiranno alla superstar del pop già miliardaria di toccare i 2 miliardi di dollari entro la fine del giro del mondo in 152 spettacoli tutti, ovviamente, sold out, più i 260 milioni di dollari guadagnati in tutto il mondo con il film concerto.

Contrariamente a quanto accadeva in passato, in occasione dei megatour degli U2, dei Rolling Stones o di Madonna, nel caso dell’Eras Tour non si è quasi mai parlato di scenografie, di effetti scenici, nemmeno di coreografie e tantomeno di canzoni o scalette. Tutta l’attenzione si è concentrata sui numeri, sugli effetti che questo colosso internazionale ha su economie, infrastrutture e politica. Un esempio? Confcommercio stima un’affluenza complessiva di 128mila persone in due giorni per Taylor Swift, al celebre concerto di Vasco Rossi a Modena Park nel 2017 ci furono 220mila partecipanti in una sera, ed è considerato ancora lo spettacolo di un singolo artista con più pubblico pagante della storia, del quale però nessuno ha mai calcolato l’impatto economico sul territorio.

Lo spettacolo è una serie di canzoni anodine che parlano d’amore, balletti accennati, il tutto abbagliato da luci e video. Ripetitivo, per certi, versi, e di una durata eccessiva (Billie Eilish ha descritto gli spettacoli di tre ore come «letteralmente psicotici») con 45 canzoni identiche ogni sera tranne le due a sorpresa nel momento acustico. È una dimostrazione di potenza e potere, come nell’immagine inziale di Taylor Swift, quando guarda la folla mostrando il bicipite: «Oh Milano, quello che state facendo è davvero fantastico. Mi fate sentire proprio potente».

Non credo che i tour degli artisti precedentemente citati non abbiano portato gli stessi benefici economici di quelli prodotti dalla Swift. Molto probabilmente, però, non sono stati amplificati dai mass media come accade adesso. O, forse meglio, l’interesse era rivolto a quello che accadeva sul palco e non attorno. 

Ma oggi la principale fonte di guadagno per una star del pop non sono certamente i dischi, fino a un certo punto gli introiti dello streaming, così come gli incassi dei tour, che per gran parte servono a coprire i costi di una messinscena grandiosa (è uno dei motivi che favorisce il “residency show”). La vera miniera d’oro è il merchandising. Secondo il recente studio condotto dalla società californiana Pens(.com), l’artista che ha venduto il maggior numero di prodotti nel corso del 2023 è stata proprio la cantante Taylor Swift. Un vero affare anche perché il mercato continua online anche al termine del tour. Taylor Swift è un brand: si presenta come un brand, agisce come un brand e sin dal suo esordio ha adottato tutte le strategie di marketing che hanno reso famosi i grandi marchi.

Quello che è mancato a U2, Rolling Stones e Madonna e che invece Taylor Swift ha saputo sfruttare è stato l’uso scientifico dei social media (ieri sera l’hashtag #MilanTSTheErasTour ha dominato anche su X con quasi 40 mila). La cantante è riuscita a creare una comunità dello spettacolo sulla base della produttività economica. Una strategia di vendita definita “coopting della comunità”. Si va ai concerti di Taylor Swift come ci si mette in coda per l’ultimo iPhone: per sentirsi parte di una comunità, di un club, per soddisfare il nostro desiderio umano di connessione e appartenenza, compriamo Nike, Apple, Hogan. 

Taylor Swift è un fenomeno tipicamente americano (il 30% dei fan presenti nelle due serate di Milano è di origine straniera: il 14 di questi sono americani), come lo era il panino con carne tritata di McDonalds che oggi si mangia da Omaha a Siracusa. Nel parterre del concerto milanese c’erano bimbe di dieci anni che sfoggiavano un inglese perfetto imparato sulle canzoni della loro eroina da cameretta.

Inoltre, i mass media, in crisi di lettori, inseguono l’evento, o presunto tale, in modo superficiale, senza spirito critico. Ormai Taylor Swift è una rubrica fissa su giornali e siti americani, con giornalisti ad hoc che, però, si confondono con i fan (fenomeno diffusissimo anche in Italia). Si beatifica la star senza sottolinearne il qualunquismo politico o mettendo in secondo piano le critiche all’uso del jet privato o di 90 Tir, rispetto all’eccitazione collettiva. Tutto è ridotto a interessi aziendali.

Ecco, se una volta sul palco c’era un artista, oggi c’è un’azienda, Che ha un unico obiettivo: fare cassa.

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