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“Queer”, l’amore gay dell’ex 007

– Presentato a Venezia 2024 l’ultimo lavoro di Luca Guadagnino con Daniel Craig tratto dall’omonimo libro di William Burroughs. «Non è un film che vuole suscitare scandalo», dice il regista
– Scene omoerotiche molto spinte. L’ex James Bond: «Io e Drew abbiamo semplicemente cercato di rendere le scene di sesso tra di noi le più naturali possibili, come il nostro lavoro richiede»
– “Harvest”, altra pellicola in concorso, racconta il trauma della modernità: «Illustra le prime crepe della rivoluzione industriale». In Laguna è già arrivata Lady Gaga per la anteprima mondiale di “Joker: Folie à Deux”

«Come può un uomo che vede e sente essere diverso da quello triste?». È la domanda che William Burroughs si pone al termine del diario personale prima della morte. Luca Guadagnino, nell’adattare il romanzo di Burroughs su un espatriato americano a Città del Messico nel 1950 che sviluppa un’ossessione per un giovane studente maschio, pubblicato quasi quarant’anni dopo che lo ha scritto, ha cercato di dare una risposta a questo umile appello del grande iconoclasta della generazione beat con il film Queer.

In concorso al Festival di Venezia, al quale il regista palermitano è molto affezionato (l’anno scorso fu costretto a rinunciare al tappeto rosso per la presentazione di Challengers a causa degli scioperi a Hollywood), Queer è una storia che altri avevano cercato di adattare nel corso degli anni, tra cui Steve Buscemi e Oren Moverman.

Daniel Craig, capelli lunghi e barba bianca, con Drew Starley

Luca Guadagnino e Daniel Craig

Protagonista è Daniel Craig, che abbandona definitivamente il ruolo dell’affascinante e sciupafemmine James Bond anche nel look con cui si è presentato a Venezia (capelli lunghi con evidente crescita bianca e barba bianca). Nel film si mette nei panni di un gay, in una di quelle performance che – secondo il direttore artistico della Mostra del Cinema, Alberto Barbera – «che definiscono la carriera». Al suo fianco ci sono Drew Starley, Lesley Manville e Jason Schwartzman. L’attore non fa una piega «Non posso controllare le reazioni dei fan di James Bond, mi era già capitato circa venticinque anni fa un ruolo gay, in Love is The Devil di John Mayburry sulla vita del pittore Francis Bacon, faccio film da tanto tempo e di questo sono particolarmente orgoglioso. È una storia d’amore, di passione, di desiderio e di sentimenti perduti».

Le scene omoerotiche estreme non si erano ancora viste nel mainstream. Contrariamente a Nicole Kidman, tuttavia, Daniel Craig non ha avuto bisogno di un intimacy coordinator. «Non c’è niente di intimo nel girare una scena di sesso in un film, sei in una stanza piena di persone che ti osservano», ha spiegato. «Io e Drew abbiamo semplicemente cercato di rendere le scene di sesso tra di noi le più naturali possibili, come il nostro lavoro richiede. Non ho mai avuto dubbi sull’accettare questo ruolo, conosco Luca da vent’anni e da tempo desideravo lavorare con lui, lo stimo profondamente».

«Non è un film che vuole suscitare scandalo», mette le mani avanti il regista palermitano. «Ho letto il libro a 17 anni, allora volevo cambiare il mondo attraverso il cinema. Nel libro di Burroughs sono evidenziate le connessioni tra i protagonisti e l’idea di avventura da realizzare con chi si ama, e volevo portare tutto questo sullo schermo, perché volevo che il pubblico alla fine sentisse e si domandasse chi siamo quando siamo da soli. Chi sei tu quando sei solo in quel letto con la sensazione di quello che senti per qualcuno. La scelta di Daniel Craig è perché uno dei più grandi attori che abbiamo. Sul fatto che abbia interpretato James Bond, beh non possiamo conoscere i desideri più nascosti dell’agente 007».

Nella parte finale del film, Guadagnino ha aggiunto una scena molto psichedelica assente nel libro di Burroughs. «Mi sembrava necessario far condividere ai due protagonisti un’esperienza estrema e intima, che li vede coinvolti e uniti sia fisicamente sia psicologicamente. Abbiamo fatto ricerche molto specifiche sulle droghe psichedeliche e i trip che causano in chi ne fa uso. Mi è sembrato il giusto coronamento di un percorso che lega in maniera indissolubile Lee e Allerton».

Una scena tratta dal film “Harvest” di Athina Rachel Tsangari

“Harvest”: il trauma della modernità

Altro film in concorso presentato oggi è Harvest della regista di origine greca Athina Rachel Tsangari. Nel cast Caleb Landry Jones, Harry Melling, Rosy McEwen, Arinzé Kene, Thalissa Teixeira, Frank Dillane. Al centro della trama del film sette giorni allucinati in cui si assiste alla scomparsa di un villaggio scozzese presumibilmente medievale, senza nome, in un’epoca e un luogo indefiniti. In questa tragicomica interpretazione del genere western, Walter Thirsk, uomo di città datosi all’agricoltura, e l’impacciato proprietario Charles Kent, suo amico d’infanzia, stanno per affrontare un’invasione dal mondo esterno: il trauma della modernità. Il film è un adattamento del romanzo omonimo di Jim Croce.

«Mi piaceva raccontare una comunità innocente che non capiva il senso del potere e della rivincita, una sorta di società nascosta che si trova in una situazione precapitalista», commenta la regista. «Volevo fare un western, anche se il film è ambientato nella Scozia occidentale. Uno dei miei periodi preferiti del cinema americano è quello degli anni Settanta, quindi i western con personaggi molto variabili inseriti nella natura.  L’uomo a contatto con una natura onnipotente. Abbiamo avuto la possibilità di esaminare il momento in cui tutto ha avuto inizio per noi che nel XXI secolo siamo eredi di una storia universale di perdita della terra. Per me, Harvest è un film sulla resa dei conti. Cosa abbiamo fatto? In che direzione stiamo andando? Come possiamo salvare il suolo, il sé all’interno dei beni comuni? Harvest si svolge in un mondo liminale, e illustra le prime crepe della “rivoluzione” industriale. Che rivoluzione non è stata. Una comunità agricola viene sconvolta da tre tipi di forestieri: il cartografo, il migrante e l’uomo d’affari, tutti archetipi di cambiamenti sconvolgenti».

Cate Blanchett nella serie tv “Disclaimer”

Un concorso ancora senza favoriti

Con i film di Luca Guadagnino e di Tsangari, l’edizione numero 81 della Mostra del Cinema di Venezia è entrata nella sua settimana decisiva, con la prima di Joker: Folie à Deux in arrivo mercoledì 4 settembre (ma Lady Gaga è già in Laguna). Ancora non è emerso un chiaro favorito, tutti i film hanno ispirato acceso dibattiti e discussioni: la rappresentazione della sessualità e del desiderio di Babygirl; l’autenticità della performance di Angelina Jolie in Maria; il Pedro Almodovar “inglese” che rilancia il tema dell’eutanasia. E se Disclaimer, la miniserie Apple TV+ in sette parti di Alfonso Cuarón, fosse in competizione, potrebbe ragionevolmente essere considerata il miglior film del festival.

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