Playlist

Playlist #57. Dal jazz voci d’incanto

– Questa settimana si segnalano il debutto della talentuosa cantante calabrese Veronica Parrilla e l’album della compositrice di Brooklyn-via-Lahore Arooj Aftab. E la grande sorpresa di Young Jesus
– I ritorni di Luciano Panama poetico e acustico,  di Adriana Spuria in stile anni Ottanta e di una sensualissima Elodie con “Black Nirvana”. I singoli di Eminem e Nick Cave
– Dalle ceneri dell’Orchestra di Piazza Vittorio nasce la BabelNova Orchestra, simbolo di musica globale. Dai Bring Me The Horizon un bombardamento di suoni e colori

“The Plant”, Veronica Parrilla

Singolo d’esordio della cantante calabrese Veronica Parrilla, talento emergente del jazz. Il brano affronta la questione dei diritti delle donne, esplorando temi come l’emancipazione femminile e la lotta contro le discriminazioni di genere. Il brano anticipa l’uscita a fine giugno del concept album But Not For Free, produzione originale di Jazzy Records, sostenuta dal MiC e dalla SIAE attraverso il programma “Per Chi Crea” che ha l’obiettivo di lanciare e valorizzare i musicisti under 35. Parrilla partecipa al progetto come voce e autrice dei testi, mentre altri due giovani jazzisti, anch’essi di origine calabrese, la accompagnano in questa prima avventura discografica: il bassista Giuseppe Gugliotta e il batterista Matteo Pesce. Pianoforte, composizioni e arrangiamenti sono invece a cura del musicista siciliano Giovanni Mazzarino, che con questo progetto intende offrire una importante opportunità di crescita musicale e professionale a tre giovanissimi musicisti, tutti poco più che ventenni. E in effetti il brano, di cui spiccano la ricercatezza melodica e l’originalità della trama armonica dalla natura misteriosa, consente a Parrilla, Gullotta e Pesce di sperimentare e di addentrarsi nel vivo della materia jazzistica mettendo le proprie caratteristiche a servizio della musica. Un Jazz che sa farsi canzone per parlare a un pubblico più ampio dei soli appassionati, con l’obiettivo di divenire tramite di temi importantissimi. 

Il brano è corredato da un evocativo videoclip, in cui un gruppo di donne di diverse etnie e nazionalità danza intorno a una figura bendata, in un movimento che rappresenta la libertà di ogni donna di fare le proprie scelte e decidere della propria vita, senza essere vincolata da costrizioni esterne. Molto potente è la scena conclusiva in cui la protagonista si toglie dagli occhi la benda che la rendeva cieca: la danza della libertà comincia proprio dalla presa coscienza del proprio ruolo nel mondo. The Plant non è solo una canzone, ma un piccolo manifesto musicale che invita alla riflessione, ricordando che l’arte può essere uno strumento potente per il cambiamento sociale.

“Aey Nehin”, Arooj Aftab

Non è facile dire qualcosa di nuovo con Autumn Leaves. L’evergreen del 1945 è sicuramente uno degli standard più eseguiti nel repertorio jazz, non solo da artisti del calibro di Miles Davis e Nat King Cole, ma anche dai principianti che prendono lezioni: sedersi a un pianoforte per suonare la sua malinconica melodia è un po’ come nel rock prendere una chitarra elettrica e andare direttamente per Smoke on the Water. Mettere la tua interpretazione su un nuovo album nel 2024 è una mossa conservatrice o audace? Per Arooj Aftab, la cantante e compositore di Brooklyn-via-Lahore che si muove liberamente tra jazz, folk e musica industana e classica occidentale, è decisamente quest’ultima.

Autumn Leaves di Aftab arriva all’inizio di Night Reign, il suo quarto album da solista, e lo rende un incantesimo spettrale. Le percussioni metalliche sferragliano sullo sfondo. Le linee di basso verticali di Linda May Han Oh seguono la voce di Aftab come un’ombra segue il protagonista di un film noir. Senza uno strumento a corda per sostenerlo, la melodia familiare diventa scheletrica. Il suo lavoro su Autumn Leaves è emblematico del modo in cui opera: attingendo alla tradizione mentre, la spoglia dei cliché per mettere in rilievo il mistero che rende immortali vecchie poesie e canzoni.

Due delle canzoni di Night Reign prendono le loro parole da Mah Laqa Bai Chanda, il poeta del XVIII secolo che fu la prima donna a pubblicare una raccolta di opere in urdu. Altri testi sono originali Aftab, sia in inglese che in urdu. Ancora un altro è basato su una poesia che l’amica della cantante, l’attrice pakistana Yasra Rizvi, ha pubblicato su Instagram. Aftab unisce il mix del suo materiale di partenza tra il secolare e l’effimero con la sua voce meravigliosa. Le sue composizioni pazientemente si riuniscono e si dissolvono, favorendo lunghi archi di sviluppo rispetto a improvvisi cambiamenti dinamici. Anche se Night Reign ha molte zone distinte – il basso grungy prende il comando di Bolo Na; l’auto-tune copre la voce di Aftab su Raat Ki Kai – nel suo complesso si ha la sensazione di una grande unità musicale.

“Brenda & Diane”, Young Jesus

Ecco un cast incompleto di personaggi che popolano The Fool, il settimo album provocatorio di Young Jesus: un paio di fuorilegge, un uomo anziano interamente dipendente dai suoi figli, un medico che viene sorpreso a spiare sui social media del suo paziente e, su MOTY un serraglio di misogini, ipocriti e ragazzi mammoni insicuri che si comportano da maschi alfa. E la persona che si perde nei ricordi di essere stata abusata da bambina e arriva, decenni dopo, a stare in piedi su un cane che ha appena picchiato.

Eppure, i personaggi più drammatici sono quelli che John Rossiter, in arte Young Jesus, ci permette di credere siano se stesso, artisti che hanno assistito in prima persona ai poteri salvavita dell’arte. Mentre Rossiter non ha confermato se nessuno di The Fool sia autobiografico, è un prodotto spietato e indelebile di un uomo che ha dovuto mettere in discussione ogni sua motivazione artistica prima di fare l’album più vitale della sua vita. Per molti versi sulla scia di Anohni and the Johnsons. Bravo.

“Sapremo scegliere”, Luciano Panama

«Arriva dopo sette anni dal mio ultimo album Sapremo Scegliere, il mio nuovo singolo, una ballata acustica dedicata ad Anna, mia figlia nata da qualche mese», annuncia il cantautore di Messina. «Ho scritto questo brano prima che lei venisse concepita senza capire esattamente il suo significato nell’insieme. Già da tempo riflettevo sui problemi della mia generazione nell’affrontare la costruzione di una famiglia, la genitorialità, la responsabilità economica sociale lavorativa di tutto questo. L’età di concepimento è aumentata in modo importante rispetto a qualche decennio fa ed è sempre più difficile trovare un equilibrio». 

«Il testo mi ha portato ad approfondire la responsabilità dell’atto di diventare genitori in quest’età moderna, così tecnicamente avanzata e al tempo stesso apparentemente disumanizzata, dove i figli sembra quasi che siano da intralcio per la nostra realizzazione personale, così difficile da conciliare con il resto del mondo», continua Panama. «In un’Italia con una denatalità sempre in crescita, in un mondo che avanza senza remore, dove l’età media di un genitore è salita vertiginosamente a causa dei ritmi dettati da questa società e a causa di nuove generazioni che non hanno più nessuna sicurezza e maggiore difficoltà a prendersi delle responsabilità importanti, con questa pubblicazione ho scelto di mettere al centro la ricerca di una nuova possibilità di crescita umana e culturale».

“Ama la Tierra”, BabelNova Orchestra

I ritmi e i suoni di ogni latitudine trovano casa a Roma per rinascere in un magma sonoro originale che racchiude la sensualità del funk, l’esotismo delle sonorità mediorientali, l’impasto timbrico del Sud America, la ruvidità del rock e l’immediatezza del pop. Nuova formazione composta dagli ex musicisti dell’Orchestra di Piazza Vittorio, 12 elementi provenienti da ogni parte del mondo, la BabelNova Orchestra è testimone ed erede di una delle più affascinanti e pionieristiche storie della musica world in Italia degli ultimi vent’anni, e che oggi vive una nuova era.

Dopo il prestigioso debutto sul palco dell’ultimo Festival di Sanremo, nella serata dei duetti con Dargen D’Amico in un omaggio al Maestro Morricone, e dopo la pubblicazione dei primi singoli Ama La Tierra e Safi Safi, esce Magma, album di debutto che sarà presentato con un concerto speciale il 19 giugno a Roma in occasione della celebrazione della giornata mondiale del Rifugiato, organizzata da Refugees Welcome Italia con Testaccio Estate e la Città dell’Altra Economia.

“One Night Love”, Adriana Spuria

Un invito alla spensieratezza, al divertimento, alle emozioni, all’innamoramento, alla sensualità. Un invito alla gioia di vivere da parte della cantautrice siracusana che si tuffa nelle atmosfere disco dance degli anni Ottanta. «Nello scriverla l’immaginazione è corsa a due persone che si incontrano in un locale, dopo essere state entrambe in giro a “cazzeggiare” e si infatuano l’una dell’altra», racconta l’autrice. «Rimane il dubbio: sarà un’unica notte d’amore? La storia di una sera?». 

Nel brano due citazioni musicali esplicite di due canzoni importanti della pop dance degli anni Ottanta. La prima, nel testo, è Don’t you want me baby degli Human League, l’altra nella parte musicale, alla chitarra elettrica suonata da Corrado Salemi, è una interpretazione del riff di Who can it be now dei Men At Work. Anche nei sintetizzatori arrangiati e suonati da Gae Capitano c’è un chiaro riferimento a quell’epoca. Al basso Biagio Martello e alla batteria Giovanni Maucieri. Il videoclip – un mix di immagini di discoteche locali e vita notturna, in cui Adriana Spuria si cala nel ruolo di una dj – è stato realizzato dalla stessa cantautrice per il suo marchio di produzione LaFabbrika.

“Black Nirvana”, Elodie

Viene da un periodo di stop nel quale si è dedicata ad altro: pubblicità, cinema, moda. Ma ora Elodie torna al suo primo amore, la musica, con il nuovo singolo Black Nirvana. Per farlo, ha usato i social, pubblicando la foto di copertina e un breve video su Instagram tratto dal videoclip nel quale Elodie si trasforma in una vera e propria dea, giocando con le luci e le ombre per creare un sensuale effetto vedo-non-vedo che mette in risalto la sua silhouette impeccabile.

“Frogs”, Nick Cave

Dopo aver condiviso la title song di Wild God a marzo, Nick Cave & the Bad Seeds sono tornati con un altro singolo del nuovo album. La traccia, Frogs, è stata una delle prime canzoni che Nick Cave ha scritto per il suo album e include allusioni alla storia biblica di Caino e Abele. Nick Cave, in un comunicato stampa, ha commentato: «La pura esuberanza di una canzone come Frogs mi mette solo un grande fottuto sorriso sul viso».

“Houdini”, Eminem

Primo estratto dal dodicesimo album in studio di Eminem, intitolato The Death of Slim Shady (Coup de Grâce). Il brano prende il nome da Harry Houdini, il famoso mago originario di Detroit (proprio come il rapper) noto per le sue abilità nel creare illusioni e nel compiere evoluzioni apparentemente impossibili. Con il ritorno del collaboratore di lunga data Jeff Bass dei Bass Brothers, Eminem rivisita il suo suono iconico dei primi anni 2000 (si cita il leggendario slogan “Guess Who’s Back?”) ed il videoclip diretto da Rich Lee è un omaggio al successo del 2002 Without Me. La clip, che sembra un cinecomic, contiene infatti un cameo di 50 Cent, Dr. Dre, Snoop Dogg, Pete Davidson, Mr. Porter, Royce Da 5’9, The Alchemist il comico Shane Gillis e compare perfino il manager dell’artista Paul Rosenberg. Sempre nella stralunata clip, Eminem si cimenta nella breakdance e si tinge i capelli di biondo, proprio come agli esordi.

Houdini contiene una divertente interpolazione della celebre hit della Steve Miller Band Abracadabra del 1982. Il testo è graffiante e tagliente come sempre. Il singolo è stato anticipato dal rapper sui suoi social quando ha sorpreso i fan pubblicando un video che lo riprende in una chiamata FaceTime con il mago David Blaine. Alla fine del video, Eminem chiede a Blaine fino a che punto possano spingersi con la magia, esprimendo il desiderio di fare qualcosa di speciale, annunciando così l’uscita del singolo: «Il mio ultimo trucco, far sparire la mia carriera».

“limOUsine”, Bring Me The Horizon ft. Aurora

Poche rock band moderne hanno fatto un album che è un tale bombardamento di suoni e colori. Dopo l’addio di Jordan Fish, i Bring Me The Horizon continuano ad essere quello che sono sempre stati: una forza creativa che trascende le personalità dei suoi componenti. Giustifica del tutto l’attesa di quattro anni per questo Post Human: Nex Gen, seconda puntata della loro futuristica serie Post Human, seguendo il colosso cyber-punk del 2020 Survival Horror. In poco più di 55 minuti, questo lavoro potente dall’inizio alla fine rilascia una energia frenetica e travolgente A volte, è caos, ma comunque strutturalmente solido in un modo che solo i Bring Me The Horizon possono eseguire. Non resta altro che allacciare le cinture e lasciarsi trasportare dalle montagne russe create dal suono della band.

S’inizia con YOUtopia: «C’è un posto dove voglio portarti / Ma non sono proprio lì io stesso», canta Sykes su un riff glorioso ma torbido che ricorda il successo di Deftones del 1998 Be Quiet And Drive (Far Away), idealizzando il paradiso attraverso una sorta di canzone d’amore. Post Human: Nex Gen è molto più introspettivo del “lockdown metal” che attraversa il suo predecessore. Sykes affronta la dipendenza, l’insicurezza e fa una visita alla terapia nel corso dell’album. «Nessuno andrà in coma e mi salverà / Sto annegando nel sonno», grida su Top 10 staTues tHat CriEd bloOd. Altrettanto dura è DArkSide: «Hai i piedi nella sporcizia che respira ancora / Non me ne frega un cazzo se il mio cuore smette di battere». Il post-hardcore di liMOusine rende omaggio ancora una volta ai Deftones e accoglie l’innovatrice pop norvegese Aurora per prestare la sua misteriosa voce alla seconda strofa: «Spero che tu abbia scritto tutte le tue canzoni per me», geme Sykes.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *