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Paolo Benvegnù: è ancora un sogno un mondo che ci renda felici

– Nei giorni in cui l’artista milanese ritira la Targa Tenco per “È inutile parlare d’amore”, esce “Piccoli fragilissimi film – Reloaded”, riedizione dell’album-capolavoro uscito nel 2004 e diventato di culto. «Io non volevo fare questa celebrazione, mi sembrava un esercizio di nostalgia… Poi è arrivato Paolo Fresu…»
– Una concomitanza che ha il sapore di vendetta. Quel premio l’ex Scisma lo avrebbe meritato vent’anni fa: «Mi avrebbe dato una mano in un momento di difficoltà facendo dei concerti, ma vinse Morgan.  Ci speravo poi nel 2015 per “Earth Hotel” ma vinse Mauro Ermanno Giovanardi»
– Nella versione aggiornata partecipano vecchi e nuovi amici: da Ermal Meta a Tosca, da Malika Ayane a Motta, da Piero Pelù a Dente, da Appino a Irene Grandi, da La Rappresentante di Lista a una sorprendente Lamante e altri ancora

In questi giorni Paolo Benvegnù sarà a Sanremo per ritirare la Targa Tenco per È inutile parlare d’amore, premiato come miglior album in assoluto. Soltanto il caso, come sorride lui, ha voluto che negli stessi giorni uscisse Piccoli fragilissimi film – Reloaded, riedizione del capolavoro uscito nel 2004 e diventato un disco di culto. Un’opera che avrebbe meritato di vincere vent’anni fa. 

Una sorta di vendetta?

«No, no», ride l’artista. «In realtà noi stavamo elaborando questo album prima che succedesse questa cosa del Tenco che, in tutta franchezza, per me è ancora inspiegabile. È veramente casuale, non c’è nulla di voluto. Si pensava di uscire in ottobre e poi è arrivata la notizia del premio mentre già stavamo lavorando al disco. Diciamo che questo è un anno dove le cose succedono e io non riesco a comprenderne il segno, neanche il perché. Prendo atto, anche se sono certo che quelli del Tenco si siano sbagliati e sono pronto a restituire il malloppo».

Si schernisce, ma vent’anni fa rimase deluso dalle scelte del Tenco: «Mi avrebbe dato una mano in un momento di difficoltà facendo dei concerti, ma vinse Morgan. Ci speravo poi nel 2015 per Earth Hotel ma vinse Mauro Ermanno Giovanardi».

Piccoli fragilissimi film, quando uscì vent’anni fa, rappresentò l’esordio da solista della “mente” degli Scisma, cult band degli anni Novanta che ha avuto un secondo di popolarità col singolo e album Rosemary Plexiglas. L’album fu una sorpresa assoluta: Benvegnù tagliava il cordone ombelicale con il gruppo con il quale si era fatto notare, per sposare una forma canzone quasi cantautorale, che mescola Luigi Tenco e Umberto Bindi con un suono indie-rock, melodia pop e liriche dal sapore “cinematografico”. L’atmosfera che si respira è intima e sommessa tra chitarre classiche, pianoforte, orchestrazioni minimali e percussioni accennate. Tutto molto riflessivo anche per le tematiche toccate e l’uso ricercato delle parole. «Piccoli fragilissimi film è un disco sulle gioie minime ed i piccoli spostamenti, è un prontuario sulla costruzione di un oggetto, il semaforo di un passaggio a livello», diceva l’autore a suo tempo.

Come ti sei ritrovato oggi in questi abiti di vent’anni fa? O è soltanto un cambio di cravatta, dal nero al rosso, sulla copertina?

«E anche di camicia, che ormai mi va stretta», ride. «Confesso che mi sono trovato molto meglio, perché è un disco nel quale non ho fatto niente in pratica, mi sono limitato a guardare gli altri che lavoravano. Poi ho cercato disperatamente di duettare con quelli che sanno cantare e, per cui, ho dovuto imparare. Non che ci sia riuscito completamente, però è stato molto bello e formativo», scherza. 

«Però è vero io non ho fatto nulla», prosegue, «Ci han pensato i miei compagni e quegli uomini e donne che ci hanno gettato una cima a noi che siamo naufraghi. Ho visto crescere questa cosa grazie agli altri e, rispetto al disco originale, mi sembra molto confortante. A quel tempo non esisteva forse neanche la cravatta».

I compagni di Benvegnù sono Luca Roccia Baldini (basso), Daniele Berioli (batteria), Gabriele Berioli (chitarre), Saverio Zacchei (fiati), Tazio Aprile (piano). Gli “uomini e le donne” che sono accorsi in aiuto sono invece: Paolo Fresu, Ermal Meta, Tosca, Malika Ayane, Giovanni Truppi, Piero Pelù, Fast Animals and Slow Kids, La Rappresentante di Lista, Motta, Appino, Dente, Lamante, Giulio Casale, Irene Grandi e Max Collini, in ordine di apparizione. Nuovi attori di Piccoli fragilissimi film. E, come nei film di Buñuel, il regista preferito da Benvegnù, quando s’incrociano due persone, la cinepresa che seguiva quello che sembra il protagonista cambia soggetto. 

Paolo Benvegnù, 59 anni

Ma almeno la scelta degli ospiti l’hai fatta tu? Sei stato tu a individuare la voce giusta per quel determinato brano?

«È stato tutto molto casuale. Il mio desiderio iniziale era quello di fare qualcosa con Paolo Fresu, essendo un ammiratore della sua musica e della sua arte. Io non volevo fare questa celebrazione, mi sembrava un esercizio di nostalgia. Così ho detto ai miei compagni: “Allora, se volete fare questa cosa, vediamo se riuscite a fare in modo che Fresu suoni in un brano. Vediamo se siete capaci”. I ragazzi di Woodworm e Luca Baldini, che è il vero motore di questa iniziativa, sono riusciti nell’impresa e così io mi sono un po’ più convinto. Alcune cose mi sembravano perfette. È il caso di Francesco Motta su Brucio, ma anche di Dente in Quando passa lei. Ma se ti dovessi dire che l’ho fatto con coscienza, mentirei. È stata un’assonanza di colori e, in qualche caso, non sono stato io. In realtà, abbiamo fatto sapere in giro che c’era in ballo questo progetto e alcuni hanno aderito spontaneamente. Ermal Meta mi diceva che voleva cantare Il mare verticale da vent’anni e l’ha cantata benissimo, ho fatto una gran fatica a fargli i cori perché è bravo».

Ermal Meta è stato accontentato e si è immerso con Paolo Fresu in un Mare verticale che porta il nome di un prezioso romanzo di Giorgio Saviane. I Fast Animals and Slow Kids rendono ancor più ruggente Suggestionabili, dichiarazione d’intenti artistica affiancata da un’accusa alla malleabilità diffusa. Due donne, Tosca e Malika Ayane, sottolineano – la prima – la gioia di un amore in Cerchi nell’acqua e – la seconda – la passione di Io e te. Appino si cala nella melodia beatlesiana di Only for you. A sorprendere è l’ultimo atto: Catherine viene esaltata, resa ancor più struggente e drammatica dalla voce di Lamante, cantante vicentina dalla voce scura, secca, tagliente. È una di quelle canzoni in cui non si può che trattenere il respiro per ascoltare una storia quasi del tutto esplicita nel farci provare lo stesso dolore della protagonista, una notte per lei che durerà una vita e pochi minuti per noi da contemplare. Raggiungendo nel finale un climax commovente. Da brividi.

«Lamante è fantastica, ha un tasso di emozionalità enorme», sottolinea Benvegnù. «Quando scrissi quel brano, avevo cercato di entrare nel femminile, ma ovviamente non arriverò mai a cantarlo in maniera degna perché bisogna entrare, anche fisicamente, in quel tipo di narrazione. Lei è stata bravissima, al punto che io non volevo che ci fosse la mia voce. Poi lei ha insistito. Ci sono io, ma fondamentalmente è lei che porta il brano e finalmente quel pezzo è cantato come deve essere cantato».

Con Irene Grandi hai fatto un cambio. Lei aveva già cantato È solo un sogno, adesso interviene in uno dei tre inediti, Le gioie minime, dal finale alla David Gilmour.

«Conoscendola, sapevo che uno dei brani sempre dell’epoca, che però con era stato inserito nell’album, poteva interessarle, perché le piace il tema. E lei è proprio così, un essere umano che si abbandona all’abbraccio del mondo. Sono andato a colpo sicuro: “Secondo me questo pezzo ti potrebbe piacere”. Non solo era entusiasta, ma ha registrato da sola a casa con un microfonino. Tutte queste storie mi lasciano stupefatto… io che sono sempre un orso, sempre un po’ chiuso, la prima volta che insieme ai miei compagni ci apriamo un po’, ci hanno dato tutti una carezza. È stato molto confortante».

I tre brani inediti che completano questa edizione del ventennale sono più sperimentali rispetto al resto dell’album originale, c’è anche uno “spoken word” finale, Isola Ariosto.

«Sì, sì. Le gioie minime e Preferisci i silenzi sono dell’epoca, però l’idea era quella di chiudere con qualcosa che fosse nuova anche per noi e ci siamo detti: “Ma se proviamo a improvvisare cosa succede?”. E, allora, io non ho fatto altro che schiacciare “rec” e i miei compagni hanno suonato per un’ora e mezza. Poi abbiamo fatto dei tagli e sono venuti fuori quei brani. Io non ci sono in quelle registrazioni, sono arrivato poi più avanti ed è per questo che ho chiesto a Max Collini (ex Offlaga, nda) di chiudere lui il disco con Isola Ariosto, una poesia della sua mamma. è tutto all’insegna della casualità».

È stato anche un ritrovarsi, perché oltre a Irene Grandi e Max Collini, c’è Giulio Casale degli Estra che fanno parte di quell’epoca.

«Giulio come Marco Parente, Alessandro Fiori, Cesare Basile, Umberto Maria Giardini, Giuliano Dottori, Alessandro Grazian, Paolo Saporiti, sono tutta una serie di esseri umani con cui condivido uno sguardo. Perciò con Giulio è stato bellissimo fare questo, perché c’è stata finalmente la possibilità di lavorare assieme e lui ha reinventato un brano (Preferisci i silenzi, nda) che aveva vent’anni, l’ha portato avanti nel tempo».

Nel frattempo, in questi vent’anni, hai “visto molte cose spegnersi / rivoluzioni spente nel fair-play” (Only for you). Perché l’indie si è dispersa?

«Perché tutti quelli che facevano indie volevano i soldi. Qualcuno li ha fatti, gli altri no, gli altri sono poeti minori. Anche ai tempi con gli Scisma, se non ci fossero stati i Nirvana che han venduto così tanti dischi, mica avrebbero messo soldi sulle band. In quegli anni c’è stata la corsa all’oro, l’assalto al treno. Gli Scisma sono stati sull’ultimo vagone. Ma quando mi dicono: “Che bello, quante idee”. Non è vero, c’erano più soldi. Mi dispiace dirlo. C’erano sì tante idee, ma sono state viste un po’ di più perché c’erano più soldi per vedere. Adesso, se ci pensi, il mondo è popolato di pittori e poeti minori. Io sono onorato di questo. È come se in tre o quattro hanno l’automobile vera, gli altri hanno una Trabant. È fantastico come il turbo-capitalismo sia uguale al comunismo reale».

È ancora solo un sogno inventare un mondo che ci faccia ridere, come canti insieme a La Rappresentante di Lista in È solo un sogno?

«Sempre di più secondo me. Perché il sogno sottende a una attività di sospensione del pensiero e noi purtroppo siamo molto più testa che ventre. Per me è sempre più una illusione. E che la vita sia una illusione per me è una certezza. Che la realtà che noi percepiamo è soltanto percezione è un’altra certezza. A maggior ragione adesso cercare di inventare un mondo che ci faccia ridere è veramente un sogno. Ahimè, mi dispiace molto. Io spero che le prossime generazioni invece possano sorridere».

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