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Maga Saraghina e quelle streghe calunniate

Notte d’incanto nel rinnovato Parco Forza di Ispica alla scoperta dell’antica leggenda sulla fondatrice della città di Spaccaforno in compagnia della scrittrice Evelina Barone e del quartetto Curamunì. «Le “majare”? Erano astronome, sacerdotesse, medichesse, conoscevano i segreti della natura». Il ruolo della musica e del canto nell’accompagnare le formule di guarigione

«Le donne fanno nascere i bambini dei poveri, vanno a cercare gli alimenti selvatici e le erbe medicinali, curano i malati e i feriti (…). Sono le Sibille che si rifugiano nelle grotte per sfuggire alle persecuzioni, sono le veggenti e le fattucchiere che contrappongono simboli dialettici di realtà produttive all’autoritarismo patriarcale dei padroni, sono le guaritrici, levatrici, ostetriche, erboriste, conciaosse, veterinarie, naturaliste, astrologhe, metereologhe, farmaciste e medichesse, chirurghe (…). Sono tutte le streghe contro le quali si scatena il potere (…) e la strage delle streghe si prolunga nei secoli che vedono sorgere la scienza moderna».

Per liberare l’appellativo di “maga” da ogni riferimento alla “strega”, la scrittrice e ricercatrice ispicese Evelina Barone ha ripreso e approfondito la leggenda della maga Saraghina riportata da Serafino Amabile Guastella e in seguito dal Pitrè. La maga saraghina. Storia di astri, piante e parole che curano è il titolo della pubblicazione illustrata da una piccola casa editrice siciliana, la Kromato Edizioni di Ispica, e curata da Evelina Barone con la prefazione di Lucia Trombadore scrittrice e ricercatrice delle dimensioni del mito e le illustrazioni di Rosa Cerruto. Libro che è diventato spunto anche di uno spettacolo musical-teatrale messo in scena mercoledì sera al Parco Forza di Cava d’Ispica, soltanto da agosto restituito al pubblico, dall’autrice accompagnata dai Curamunì, in versione quartetto, la stessa con la quale si presenteranno alla finale del Premio Parodi in ottobre.

Il sito archeologico Parco Forza è la zona storica del comune di Ispica ed è incluso nell’area chiamata Cava Ispica, una vallata fluviale di 13 km. All’interno  si trovano i resti della vecchia Ispica e delle prime civiltà che l’anno abitata: tra le grotte artificiali ci si può avventurare tra gli antichi insediamenti rupestri, le tombe arcaiche, l’anfiteatro, l’antica Chiesa dell’Annunziata e quella di Santa Maria della Cava. Il passaggio dell’antica civiltà è ancora visibile nelle pavimentazioni, dei granai e dei magazzini. 

Parco Forza era la location ideale per accogliere la performance. Perché è il luogo magico di Saraghina, la terra madre di Spaccaforno. Qui la misteriosa figura femminile in possesso dell’arte della stregoneria, il cui nome potrebbe provenire da “saracina”, giunse al termine di un lungo viaggio dall’Oriente. A bordo della nave di Ulisse toccò le coste dell’“isola del sole”, la Sicilia, sbarcando a Punta Cirica (dal nome di un’altra maga, Circe), in quella baia non a caso chiamata “Porto Ulisse”. Qui Ecate e le ninfe di Demetra la introdurranno ai misteri della natura e all’uso curativo delle piante. Si recherà dunque a Cava d’Ispica, nel luogo designato dalle Pleiadi per la fondazione di una nuova città: Spaccaforno, l’odierna Ispica. 

«Saraghina non era semplicemente una maga, né tantomeno una strega», tiene a sottolineare Evelina Barone. «Era anche astronoma e, ancor più, sacerdotessa di Ecate e di Demetra, quindi medichessa e conoscitrice della natura e dei suoi cicli». La stessa rivalutazione accade per le “majare” di Spaccaforno. Saraghina conosce i riti destinati a Demetra, pronuncia i versi dei poeti classici, usa le formule di guarigione degli avi e come loro conosce l’uso curativo delle piante.

Da sinistra: la scrittrice Evelina Barone, Peppe Peralta, Roberta Gionfriddo, Maurizio Battista e Sandro Faro, ovvero i Curamunì

Lo spettacolo è un viaggio fra poesia, magia, “cunti” e suoni dei Sud del mondo. La voce di Evelina Barone fa da guida nella rilettura della leggenda della maga d’Oriente, sottolineata negli elementi salienti dalle musiche dei Curamunì, ovvero Roberta Gionfriddo e Maurizio Battista, rafforzati dalla precisa e melodica chitarra di Sandro Faro e dall’ukulele di Peppe Peralta. Leggenda e realtà s’incontrano, alla scoperta di riti e metodi antichi che fanno parte della cultura dei nostri avi e della nostra identità. Si sottolinea il legame tra il canto e la funzione curativa che anticamente il primo deteneva e che era fra i segreti conservati dalle donne. 

Viene a galla un filo comune fra le “pizzicate” della taranta e le fattucchiere di Ispica, fra Salento e Sicilia. Da Arakne, la bellissima ragazza che sfidò la dea Atena e fu trasformata in ragno, il cui mito si lega alla realtà delle tarantolate salentine, alla maga Saraghina. Dalle “pizzicate” alle majare. Era stata Carmen Consoli la prima ad affermarlo quando, nel 2016, fu la maestra concertatrice della Notte della taranta: «Tra Puglia e Sicilia ci sono grandi assonanze nella lingua e nell’immagine della donna». 

I Curamunì, fra i finalisti del Premio Parodi 2023

Nella musica dei Curamunì non c’è la frenesia ritmica della pizzica e della danza, semmai si avvisano riferimenti al teatro canzone di Giorgio Gaber e dei cantastorie, come nell’iniziale Canto d’amuri storto, declamato in siciliano e cantato in spagnolo fra echi di tamburi pellerossa. “Cunti” e musica, come in EpicaAcqua Pircantu, sfilza di formule rituali di guarigione da accompagnare all’uso delle erbe medicali. Mentre Luna è una stupenda e dolce ballata che sarà inserita nell’album di debutto del duo siracusano. «Anche perché le formule, tramandate soltanto a Natale e nella notte di San Giovanni, venivano sussurrate perché segrete», spiega la narratrice. «Poi, unite al canto e alla danza, attivavano la medicina».

Complice la superluna blu di mercoledì sera, fra il pubblico dell’anfiteatro di Parco Forza e il palco si è formato un “cerchio magico” che ha curato i cuori e alimentato le menti. Fors’anche con lo zampino di Saraghina.

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