Storia

La svolta rock di Loredana Marino

– La popolare attrice è riuscita a stanare Marcello Cunsolo con il quale ha registrato il lisergico e potente album “Toi” che richiama lo stile originale dei Flor (de Mal)
– Amori tossici, temi sociali e ironia, cantati in dialetto con una voce da monella punk, «ma è pronto un sequel in italiano». «Marcello le ha sentite e mi ha proposto di arrangiarle»
– Non solo musica. Tre film in arrivo, fra cui uno sulla storia di Rosa Balistreri. «Il teatro e la musica mi hanno aiutato a superare i momenti di dolore e di rabbia»

Il sogno da bambina era «la ginnastica artistica, l’acrobatica, che facevo a casa, arrampicandomi ovunque e sfasciando tutto». Poi, crescendo, è stata abbagliata dal mondo della celluloide. Il cinema, un sogno impossibile per una ragazzina di Acireale in una famiglia patriarcale vecchio modello. Il cinema non per inseguire il successo, diventare famosa, ma proprio per uscire dalle mura di una casa-prigione e crearsi una vita indipendente. 

Loredana Marino la libertà l’ha trovata nella Scuola teatrale dello Stabile di Catania, che frequentò mentre concludeva gli studi universitari, conseguendo la laurea in Filosofia, facendo così contento il severo padre. Allieva modello di Giuseppe Di Martino, superato il triennio, cominciò subito a calcare il palcoscenico. Dopo appena due anni, durante uno spettacolo, impressiona Turi Ferro, «che da lì non mi mollò più: ero sempre la sua attrice giovane», racconta Loredana Marino. «Mi portò in tournée con i Malavoglia e Pensaci Giacomino. Per me fu quasi uno shock quando me lo comunicarono. Perché non mi ero mai allontanata da casa. Stavo per rinunciare. I primi due anni di tournée sono stati terribili. E sono riuscita ad affrontarli anche perché i miei genitori in quel periodo si sono separati».

Loredana Marino

Sarebbero seguiti altri dieci anni di tournée in giro per l’Italia. Per poi debuttare nel 1998 davanti alle cineprese della Rai per la fiction Donne di mafia di Giuseppe Ferrara. «Io, però, ero molto impegnata con il teatro, sempre in tour con grandi compagnie e diversi Stabili». La seconda occasione arriva con Agrodolce, la soap di Rai3 che dopo due anni finisce improvvisamente fra polemiche e misteri.

E la musica quando e come è entrata nel tuo percorso artistico?

«La musica è stata la mia salvezza. Per il fatto di restare sempre chiusa in casa da bambina e uscire solo per andare a scuola. Quando mio padre si assentava, ne approfittavo per scendere in cortile e andare in bici, sulla quale avevo montato una radiolina. A 10/12 anni ascoltavo i Supertramp, Led Zeppelin, David Bowie, ballando da sola. La musica, quindi, è stata la mia compagna, che mi ha aiutato anche a superare i momenti di dolore e di rabbia. Il rock, ad esempio, mi ha aiutata ad avere coraggio, a farcela, perché ero una ragazzina timidissima, che si vergognava anche ad andare da sola al panificio».

Ma hai studiato qualche strumento?

«Io mi inventavo delle musichette, me le canticchiavo da sola. Un giorno chiesi di poter studiare la batteria, ma mi fu impedito: “No, tu sei femmina, che devi fare con la batteria?”. Poco dopo, senza sapere nulla, mi ritrovo a casa un pianoforte. Regalo che io non ho apprezzato, perché volevo la batteria. Non solo, mio padre mi mandò a lezioni di musica da una maestra che era una strega e mi fece odiare la musica. Una esperienza durata pochissimo».

Quando la musica è rientrata nella tua vita?

«È stato grazie ad Agrodolce. Perché aveva ripreso a canticchiare quei motivetti che avevo inventato. Un giorno mi ascolta una delle registe: “Che bella questa canzone”, mi fa. “Ma tu sei registrata alla Siae? Perché non lo fai, così usiamo le tue canzoni per la fiction, sarebbero perfette?”. Da questo input, ho cominciato a registrare. Non è stato facile, anche perché io sono un’autodidatta della musica. Da lì è nato Senzabbentu, che è il mio primo album, uscito nel 2015».

Non ti sei rivolta a una etichetta discografica?

«No, ho fatto tutto da me e tuttora continuo così. Le etichette, se non sei nessuno, non ti calcolano, altrimenti devi stare attenta, come mi è accaduto per Picciridda. Quando nel 2019 ho girato il film tratto dal libro di Catena Fiorello, il regista mi chiese l’utilizzo di Abbagliu, uno dei brani di Senzabbentu, per la colonna sonora. Per me è stata una gratificazione enorme. E poi mi è stato chiesto di dare la voce a un brano, Accussì, che avrebbe dovuto interpretare un cantante napoletano. I due brani, che si ascoltano in apertura e chiusura del film, sono finiti sull’album della colonna sonora intestata a Pericle Odierna. Il disco vince il Globo d’oro e nella citazione si fa uno specifico riferimento ai brani interpretati da me. Io l’ho saputo per caso, nessuno mi ha detto nulla».

Senzabbentu è un album legato alle tradizioni popolari siciliane. Nove anni dopo pubblichi Toi, un album lisergico, potente, che segna una svolta rock.

«Senzabbentu è un po’ alla Lautari, anche per la collaborazione con Roberto Fuzio. Toi è nato durante il Covid, periodo che per me è stato tra i più felici della mia vita. Ho creato tantissimo. Stavo benissimo a casa. Ho trovato una vecchia chitarra, mezza rotta, e da lì sono nate gran parte delle canzoni di Toi. Canzoni in dialetto, che sono state pubblicate, e altre in italiano che pubblicherò presto in un sequel. Il rock è stato sempre il mio pallino».

Marcello Cunsolo

Sei riuscita a stanare Marcello Cunsolo dal suo “buen retiro” dopo lo scioglimento dei Flor (de Mal). Che ruolo ha avuto in Toi?

«Le canzoni erano già scritte, poi Marcello ha voluto sentire tre di queste canzoni, cantate e suonate da me con la chitarra. Gli ho mandato le registrazioni. Le sente, evidentemente ci trova del talento e mi dice: “Vorrei provare ad arrangiare queste tue canzoni perché le trovo davvero interessanti”. “Ma veramente?!”, mi sono meravigliata. E così gli ho mandato le altre canzoni e quando gli ho fatto sentire Toi, che era suonata al piano, a lui piacque tantissimo».

Perché questo titolo, Toi, che significa “tuoi” in italiano.

«In un primo tempo volevo chiamare l’album Uora, come il singolo. Poi ho preferito lasciare un alone di mistero nel titolo. “Toi” lascia il mistero, pochi ne capiscono il significato, può ricordare il giocattolo in inglese, ed è una parola cortissima».

Nelle canzoni parli di relazioni tormentate, quasi tossiche, sebbene trattate con ironia. Non mi scantu di tiaAffuchiti, Hanno qualcosa di autobiografico?

«Sì, sono tutte storie vissute. Non mi lassari è invece rivolta a me stessa, sono io che parlo con il mio alter ego. In I Love You so Much, invece, scrivo di una relazione che finisce per troppo amore. Nono’, non è possibile, non va bene così, è una denuncia sociale sulla disparità fra chi ha nulla e chi ha troppo».

Perché hai ripreso Ci cuppi tu dal precedente album?

«Perché è diversa, ho inserito una parte rappata scritta due anni fa. Ho voluto fare una versione totalmente nuova».

Ci cuppi tu è quasi una canzone pop, per il resto l’album è impregnato dallo stile di Marcello Cunsolo. Il singolo Uora sembra un brano dei Flor, si risentono tutti i loro riferimenti culturali; Rem, Hüsker Dü, Sonic Youth, Syd Barrett.

«Il disco si è formato in diretta nel suo studio, senza post produzione e risente delle sue influenze e del suo stile. Uora è una canzone nata in un’ora. È nata cajon e voce. Fa riferimento alla situazione nel mondo, ma anche a quelle persone legate alla “roba” che davanti alla morte, alla guerra, al terremoto, a qualcosa che sfugge al proprio controllo, si comportano come dei conigli».

Quando canti sembri avere una voce adolescenziale, una monella punk.

«La mia voce riesce ad avere dei toni bassissimi, sensuali, come riesce ad essere una bambina. Così quando recito. Mi piace darmi un personaggio anche quando canto. È, talvolta, una parodia, un atteggiamento provocatorio». 

Le quattro Rosa nel film di Paolo Licata: Martina Ziami è Rosa bambina, Anita Pomario da ragazza, Donatella Finocchiaro da adulta, Lucia Sardo negli ultimi anni di vita
Loredana Marino sul red carpet di TaoFilmFest70

Nel frattempo, continui a calcare palcoscenici teatrale e set cinematografici.

«Sono stata impegnata in una lunga tournée con Storia di una capinera con Enrico Guarneri ed ho girato tre film, uno dei quali è stato presentato in questi giorni al Taormina Film Fest, La bocca dell’anima di Giuseppe Carleo, un film sulla mavaria, nel quale vesto i panni dell’amante del sindaco. Poi mi ha voluto Marianna Sciveres per L’acqua fresca, titolo ancora provvisorio, nel quale recito con Lucia sardo. Ad aprile ho finito le riprese di La storia di Rosa Balistreri di Paolo Licata, il regista di Picciridda, nel quale faccio la mamma di Rosa. Protagoniste sono quattro Rosa: Martina Ziami è Rosa bambina, Anita Pomario da ragazza, Donatella Finocchiaro da adulta, Lucia Sardo negli ultimi anni di vita».

E l’album Toi?

«Spero di trasformarlo in uno spettacolo “live”, nel quale mescolerò le mie passioni: il rock e il teatro. Nel frattempo, sto già lavorando a un nuovo disco che rappresenterà una svola minimalista».

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