Interviste

La 24esima ora di Silvia Salemi

– La cantante siciliana parla della raccolta “23” che avrebbe dovuto presentare venerdì 28 giugno a Palazzolo Acreide: il concerto è stato rinviato a causa della tragedia del piccolo precipitato in un pozzo
– «Nel 2003 decisi di non salire sul treno e di fare la mamma. Rimpianti? Li avrei se avessi continuato a lavorare». «Nel disco una nuova versione di “A casa di Luca”»
– «Non sono una di quelle che fa i tormentoni, però mi piace la canzone che mi fa spiegare bene la voce». «Nello show omaggi a tre grandi artiste: Mina, Patty Pravo e Annalisa Minetti»
 – «Torno spesso a Palazzolo Acreide: ho la famiglia, i genitori, la casa. È il mio “buen ritiro”, è il momento in cui si mangia, si ozia, si sta bene, si sta con le amiche»

«Ventitré ore che aspettano quell’ultima ora per completare un giorno, un percorso. Un’ora magica in cui tutto può succedere, in cui le aspettative possono essere soddisfatte, in cui si può fare ancora tutto». Silvia Salemi di questi momenti nella vita ne ha affrontati tanti. Più volte si è trovata in quella decisiva e ultima ventiquattresima ora, a dover fare una scelta importante, a giocare un match importante. È l’ora delle occasioni, quando ancora tutto può cambiare, in un’ottica di futuro, di rilancio, di riscatto, di speranza. 

«Tutta la mia vita è una ventiquattresima ora», dice Silvia Salemi dalla sua casa romana. Da quando Silvia è stata una bambina senza voce. L’aveva persa da qualche parte. O forse la teneva chiusa a chiave perché nessuno nella sua famiglia poteva ascoltarla, tutti resi sordi dal dolore troppo grande per la scomparsa di Laura, la sua sorellina. Finché un giorno la ritrova chiusa in un cassetto, insieme a quella della sorella, in attesa di essere riscoperta. Partendo da Palazzolo Acreide, piccolo paese sui Monti Iblei, Silvia riesce a realizzare il sogno di fare la cantante passando per il palco del Karaoke di Fiorello e di Castrocaro, in una storia di riscatto e caparbietà, di conquiste e rinunce. «Tutta giocata su quello che sembra l’ultimo momento possibile», riprende. «Faccio un esempio: Sanremo, ci convocano all’ultimo minuto, quando ormai le proposte sono fatte tutte e rischi di non arrivare, quindi canti di notte e di giorno, prepari il pezzo e, alla fine, lo fai. Oppure mettere al mondo due figli e decidere di non prendere un treno e di stare a casa con loro».

Così nel 2003 la ragazza rasata che aveva sfiorato il podio al Festival di Sanremo del 1997 con A casa di Luca scompare dai radar. Sembrava destinata a una carriera da primadonna della canzone italiana, ma messa davanti a un bivio, sceglie di fare la madre.

«Nessun rimpianto, anche perché quando ho deciso di restare a casa con le mie figlie, è stata una decisione che non mi ha imposto nessuno. Avrei avuto rimpianti al contrario, se avessi lavorato e basta, perché non mi sarei goduta quel momento magico che è la prima pappa, i primi passi mano nella mano. Sembrano cose scontate, ma la maggior parte delle madri oggi non lo possono fare perché costrette a lavorare e, quindi, i bambini sono affidati ai nidi». 

Tipica mamma siciliana.

«Quello che non ha potuto fare mia madre. Perché mia mamma, donna di grande impegno sia in famiglia che nel lavoro, tornava a casa nel pomeriggio e quindi perdeva il momento del pasto con noi. Lei doveva lavorare per sostenere la famiglia e non poteva permettersi di restare a casa accanto ai figli».

Silvia Salemi (foto di Alek Pierre)

Adesso il nuovo album “23”, titolo ispirato alle “Occasioni” di Eugenio Montale, rappresenta il momento per rimettere insieme le idee, fare un bilancio di quello che si è fatto in questi ultimi anni e, nello stesso tempo, la ventiquattresima ora. 

«È una summa di quello che ho fatto negli ultimi anni, perché ci sono gli ultimi singoli, da Chagall a I sogni nelle tasche, e abbiamo completato un percorso iniziato nel 2017 e che sfocerà l’anno prossimo nel mio trentesimo anno di carriera».

Trent’anni dalla vittoria il 12 ottobre 1995 al Festival di Castrocaro con il brano Con questo sentimento, che le avrebbe aperto le porte di Sanremo, dove l’anno dopo arriverà quinta nella sezione “Nuove Proposte” con Quando il cuore. «Ma avevo cominciato molto prima: sono trent’anni, ma per me sono molti di più. Canto da quando avevo 4 anni». 

Di quel passato Silvia Salemi recupera soltanto A casa di Luca: «È un regalo, una bonus track: non veniva rieditata dal 1997 e ha una forza di racconto su “23” che non ha Quando il cuore. È una versione per la prima volta rivisitata, più soft e morbida, attualizzata». 

Ma oggi chi è Silvia Salemi. La cantante urban pop di Fiori nei jeans e Animali umanio quella di Amore eterno ancora legata alla tradizione?

«Sono entrambe le Silvie. Perché se vai in palestra metti la tuta, se vai in vacanza porti il costume. Non significa indossare maschere diverse, però in momenti diversi della vita possiamo avere più espressioni e rimanere comunque sempre noi stessi. A casa di Luca è il manifesto della mia generazione, ma forse anche di quella attuale, Animali umani è una denuncia che andava fatta: io sono una artista attenta a quanto accade intorno a me nel mondo e da madre non posso gridare anche rabbiosamente per i diritti negati alle donne. E poi c’è Amore eterno, una canzone che rimane lì, legata alla melodia e al classicismo, che secondo me sono stati rivalutati da molti, a cominciare da Ultimo o da Mengoni. È normale per un artista avere un pezzo ritmato e poi la ballatona. Non sono una di quelle che fa i tormentoni, però torno alla canzone che mi fa cantare, che mi fa spiegare bene la voce».

In tema di attualità c’è anche Noi contro di noi, che fa riferimento alla guerra in Ucraina. Nel ritornello canti: “Non siamo mai felici, vogliamo sempre di più”.

«È un grande grido di dolore contro tutte le guerre e, in particolare, quella che era scoppiata in Ucraina e che è tuttora in corso. Non abbiamo imparato nulla dal passato, ognuno è contro l’altro, combattiamo una guerra tra di noi senza pensare che viviamo sulla stessa palla blu e dovremmo pensare a salvare la terra. Perché vogliamo sempre di più: abbiamo due macchine e ne vogliamo quattro. Intanto, ci sarà sempre un Elon Musk che sarà sempre sopra di noi».

Il tour si intitola Voce. C’è un nesso con il tuo libro La voce nel cassetto?

«C’è sempre un riferimento perché la voce e tutto quello che passa per la voce viene fuori dall’anima. Il mare e la voce sono due elementi che hanno sempre caratterizzato il mio percorso artistico sin dall’inizio. Tutto passa dalla voce e, in particolare, in questo tour noi celebriamo le voci. È uno storytelling che parte dal primissimo concerto che ho fatto quand’ero ragazzina alla prima vittoria in un festival che si chiamava “La voce dei piccoli” nel mio paese, dove a 11 anni cantai in inglese Like a Prayer di Madonna, al Karaoke di Fiorello, dove avevo 14 anni, sino a Sanremo ed a “Tale e quale show”. Ci saranno anche tanti omaggi: a Mina, a Patty Pravo con cui ho duettato, alla mia amica Annalisa Minetti. Ognuna di queste artiste ha qualcosa da insegnare, per esempio Annalisa Minetti è una donna di grande coraggio, di spessore. Ho fatto un duetto con lei sulle note di Almeno tu nell’universo su Rai1 a “Ora o mai più” e ho deciso di raccontarlo».

Cosa pensi, invece, delle artiste di oggi?

«Sono una grande fan delle donne: Elodie, Annalisa, Noemi, Chiara, sono tutte brave, sanno cantare, sono belle e non hanno paura di farlo vedere. Abbiamo affrancato e smarcato il discorso se sei bella non sei brava».

Anche voi eravate belle e brave. Forse avete avuto più ostacoli.

«Io però mi nascondevo», ride. «Indossavo pantaloni cardigan, non vivevo dell’esigenza di dover esprimere la mia femminilità fisica. All’epoca c’era più televisione e i social non esistevano. Io facevo venti programmi televisivi in due mesi, adesso la tv non offre più queste occasioni, ma con i social sei ovunque». 

Qual è il rapporto con Palazzolo Acreide, la città dove sei nata nel 1978?

«Nel mio paese torno spesso, ho la famiglia, i genitori, la casa, le amiche. È il mio “buen ritiro”. Palazzolo è il momento in cui si mangia, si dorme, si sta bene, si sta con le amiche, si sta sul terrazzo a respirare il nulla. È il momento dell’ozio e, come dicevano i latini, ti rigeneri».

E c’è ancora la casa di tufo di tua nonna che ti faceva paura?

«Come no. Il muro è stato rivestito, intonacato, però c’è ancora la macchia scura, la testa di lupo che mi guarda».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *