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Israele divide Nick Cave e Roger Waters

– Polemica a distanza fra le due star del rock. L’australiano contrario al boicottaggio del popolo ebraico, pur non condividendo la politica del governo di Netanyahu
– La sarcastica e dura replica dell’ex Pink Floyd via Instagram: «Non andare a suonare lì. Quell’atto serve a sbiancare l’occupazione sionista israeliana di 75 anni, il furto della terra, l’apartheid e il genocidio»

La questione palestinese è al centro di uno scambio di battute fra Nick Cave e Roger Waters, da tempo – insieme con Brian Eno – sostenitore del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) a favore di una campagna globale di boicottaggio contro Israele.

In un episodio pubblicato mercoledì 28 agosto dal podcast Reason, in occasione della pubblicazione dell’album Wild God, Nick Cave ha detto che, pur «non essendo amico del governo di Israele», trova difficile accettare l’idea di «usare la mia musica per punire la gente comune a causa degli atti del governo». Ritiene cioè, e lo aveva già detto in passato, che non andare a suonare in Israele, cosa che gli è stata chiesta, sia una punizione solo per i fan e non per il governo Netanyahu.

Roger Waters e Nick Cave

Nella stessa intervista Cave dice di non avere preso sul personale gli attacchi di Waters e di Brian Eno. «Si tratta ovviamente di questioni più ampie, non si tratta di me». Ha aggiunto però che trova il modo in cui Waters si sta comportando «particolarmente dannoso per il movimento di boicottaggio».

Per Cave, infatti, il boicottaggio non funziona. «In un certo senso, incoraggia gli aspetti peggiori dell’attuale governo israeliano che fa leva sull’isolazionismo, del tipo: “Tutto il mondo è contro di noi, nessuno verrà a suonare qui”». Secondo l’artista australiano, il boicottaggio «viene usato per promuovere i loro programmi nefasti e, allo stesso tempo, punisce i fan». Pur essendo «tremendo quel che sta accadendo laggiù», Cave non si sentirebbe a suo agio nel boicottare la gente comune.

L’ex Pink Floyd è stato contattato dall’Independent per un commento sulle parole di Nick Cave. «Vediamo se lo pubblicano o no», ha detto Waters postando un video su Instagram. E poi ha letto il suo commento ad alta voce.

https://www.instagram.com/reel/C_ULoDCNxJx/?utm_source=ig_web_copy_link

«Caro Independent, ecco la mia risposta al tizio australiano Nick Cave: “Basta dire che ti dispiace. Ma non a me o a Brian Eno, non ce ne frega un cazzo. No, dì che ti dispiace ai palestinesi, alla madre/padre palestinese che porta i pezzi del suo bambino morto lungo l’amara strada verso il nulla in un sacchetto di plastica si ferma sul ciglio della strada per graffiare un messaggio tra le macerie. Nick, ecco il messaggio. Unisciti al BDS e ci metteremo il passato alle spalle. Non andare a suonare in Israele. Quell’atto – cantare per una cena in Israele, Nick – quell’atto serve a sbiancare l’occupazione sionista israeliana di 75 anni, il furto della terra, l’apartheid e il genocidio del popolo palestinese, Nick. Per favore, per favore, per favore segui l’esempio di Roger Waters e Brian Eno e di molte, molte migliaia di altri che sono attivi nel movimento BDS. Nick, fai attenzione».

Nel video abbinato al messaggio, Waters chiama il musicista australiano Nick “Fucking” Cave e lo accusa di comportarsi in modo «narcisistico e disumano».

Ogni manifestazione e ogni piccolo gesto di empatia contano, dice Waters nel video richiamando più volte l’attenzione di Cave come farebbe un maestro rude con un bambino distratto o non molto sveglio. «Roger Waters e Brian Eno sono nostri fratelli», dice l’inglese impersonando il/la palestinese. «E ora Nick dovrò trovare un posto dove seppellire i resti di mio figlio».

Queste posizioni hanno attirato su Waters le accuse di antisemitismo, che ha sempre negato, sostenendo che Israele è solo uno dei bersagli dei suoi show, che vogliono essere spettacoli anti-fascisti ad ampio spettro. «Ho passato tutta la mia vita parlando contro l’autoritarismo e l’oppressione ovunque la vedessi. Quando ero bambino dopo la guerra, il nome di Anna Frank veniva spesso menzionato in casa nostra, è diventata un ricordo permanente di cosa succede quando il fascismo è lasciato libero di agire».

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