Interviste

Il “Cuore meridiano” dei Radiodervish

– La band pugliese raccoglie in un album le anime di quegli artisti che «raccontavano un Mediterraneo più attento, più interconnesso, meno assoggettato alla legge del libero mercato», prendendo spunto dal libro “Il pensiero meridiano”
– Dagli Area all’amico Franco Battiato, dallo chansonnier franco-greco Georges Moustaki al cantautore berbero Idir, fino alla stupenda “Giorni senza memoria” che segnò l’incontro con Massimo Zamboni dei Cccp. In luglio due concerti in Sicilia
– «Il nostro è un grido contro le guerre, perché si prenda atto che c’è qualcosa che non va nella trasmissione della narrazione della storia», dice il cuore palestinese di Nabil Salameh. «Bisogna ritrovare una umanità in un tempo dove si sta consumando un genocidio dall’altra parte del Mediterraneo»

“Pensiero meridiano” significa andare oltre, è una filosofia del vivere descritta dall’intellettuale barese Franco Cassano nell’omonimo libro-testamento che parte dal sentire dei popoli che si affacciano su questo grande lago che chiamiamo Mediterraneo.

Un modo per scoprire il limite che il mare ci pone, ma anche la forza della sua massa liquida che ci connette e ci interroga. Un modo per dire che il Sud d’Italia come i Sud del mondo devono pensare a costruire il proprio futuro senza farsi colonizzare da modelli esterni, senza inseguire mete che li snaturerebbero, come purtroppo è in gran parte avvenuto e continua ad avvenire.

Il “pensiero meridiano” ha ispirato decine e decine di iniziative, di gruppi culturali, artistici, che sono stati conquistati da questo modo di guardare al mondo. Non ultimi i Radiodervish, una delle più raffinate e intelligenti espressioni di una poetica musicale interculturale. Cuore meridiano è il titolo del loro nuovo lavoro discografico e prende spunto proprio dal libro del filosofo Franco Cassano. Nabil Salameh e Michele Lobaccaro vanno alla riscoperta di un mondo basato sul dialogo, sull’empatia, sullo scambio culturale e commerciale. E, per ritrovarlo, sono costretti ad andare indietro nel passato, quando il battito del “cuore meridiano” era udibile, prima che venisse soffocato e annacquato in un innocuo folklore. Lo fanno rivisitando artisti espressione di quell’epoca, come gli Area e Franco Battiato, passando per lo chansonnier franco-greco Georges Moustaki e il cantautore berbero Idir. 

Un disco, Cuore meridiano, che anche per il suo formato EP, sembra nascere dall’urgenza di intervenire in un momento così drammatico e delicato per il mondo e, in particolare, per la Palestina, terra dalla quale proviene Nabil Salameh.

«Questo lavoro nasce dall’esigenza di sottolineare questo momento molto delicato, molto doloroso soprattutto per il sottoscritto che, oltre a essere cittadino italiano, è anche originario della Palestina», conferma Nabil. «L’esigenza è di riportare una abitudine che pensiamo sia stata una concausa che ha condotto alle dinamiche alle quali assistiamo in questi giorni. Un tempo questi cantautori che abbiamo selezionato raccontavano un Mediterraneo più attento, più interconnesso, meno assoggettato alla legge del libero mercato e, quindi, al consumismo che ci ha ridotto in merce. Ebbene, questi cantautori hanno molto da insegnarci ancora oggi. Possono contribuire a risvegliare la consapevolezza che bisogna conservare questa spiritualità, questa connessione, questa condizione umana, con una profonda coscienza civica in un tempo dove si sta consumando un vero e proprio genocidio dall’altra parte del Mediterraneo. Uno non avrebbe mai pensato che, dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale, avrebbe assistito a un ulteriore genocidio che si sta consumando ogni giorno nella Striscia di Gaza».

I Radiodervish sono: Nabil Salameh, Michele Lobaccaro, Alessandro Pipino e Pippo D’Ambrosio

“Gaza” è stato il vostro primo inedito pubblicato nel 1993 come Al Darawish. In “Cuore meridiano”, come apertura, rileggete la storica “Luglio, agosto, settembre nero” degli Area. Dopo trent’anni non è cambiato nulla?

«Purtroppo, non è cambiato nulla. C’è una volontà che ha impedito che in questi trent’anni ci fosse una vera giustizia, una vera restituzione dei diritti al popolo palestinese che è stato vittima di una vera e propria operazione di furto di identità, di terra, di diritti, di vita. E quando manca la giustizia, la pace diventa soltanto un termine. Chi in questi trent’anni poteva cambiare le sorti del mondo, soprattutto di quella zona del Medio Oriente, non si è assolutamente posto nell’ottica di stabilire una pace basata sui diritti e sulla giustizia. Anzi, ha favorito gli insediamenti, ha favorito tutta una serie di elementi, di soprusi, che hanno minato qualsiasi base per stabilire una pace giusta fra due popoli che devono vivere uno al fianco dell’altro».

Il discorso sui genocidi, i crimini di guerra, viene allargato dall’inedita versione rock di “Giorni senza memoria” (che segnò l’incontro con Massimo Zamboni dei Cccp): dalla violenza dell’Inquisizione alla follia dei khmer rossi, dall’odore dei lager ai milioni di morti di Hiroshima. È davvero un mondo senza memoria?

«È un mondo che ha una memoria molto effimera, non per una questione antropologica, ma per una operazione che ha mirato ad annientare questa memoria a lungo termine. Ci sono delle cose che non arrivano alla coscienza, perché la storia è scritta dal vincitore. Pensiamo agli Stati Uniti d’America e al Canada, che sono stati costruiti sullo sterminio di un popolo nativo e l’olocausto è stato trasformato in un genere cinematografico western. È sconvolgente. Perché noi viviamo in questa bolla che ci impedisce di avere un accesso agli accadimenti. I libri di storia dovrebbero conservare questa memoria, ma vengono scritti dai colonizzatori. In Australia, un’altra entità colonialista nata sull’annientamento degli aborigeni, si è addirittura votato contro il riconoscimento dell’uguaglianza. È una negazione che si perpetua nei gesti del potere. Il nostro è un grido perché si prenda atto che c’è qualcosa che non va nella trasmissione della narrazione della storia. È il caso del conflitto di Gaza che si rappresenta per quello che è successo il 7 ottobre, ma è una questione che è nata cent’anni prima del 7 ottobre: la pulizia etnica, le ingiustizie disumane consumate sulla pelle dei nativi. Una terra che è stata occupata per costruire una colonia, né più né meno».

Il video di “Giorni della memoria” nella versione originale di cinque anni fa

Tu sei nato in Libano, ma la Palestina è un pezzo importante del “Cuore meridiano”.

«Sono figlio e risultato di quel progetto coloniale, perché i miei sono originari di Giaffa e nel 1948 son dovuti fuggire, così come son dovuti scappare 750mila altri palestinesi a causa della pulizia etnica che i coloni sionisti hanno fatto. Sono andati in Libano, dove poi sono nato e dove ho fatto le scuole. Quindi, sono venuto in Italia per studiare e laureami in ingegneria industriale, anche se non è la mia professione: insegno al Conservatorio antropologia della musica. Ho scelto questo Paese come seconda patria».

Tornando al disco, la canzone “Luglio agosto settembre nero”, un pezzo progressive dall’album manifesto degli Area “Arbeit Macht Frei”, è stata spogliata sia della preghiera in arabo iniziale sia della potente carica ritmica.

«La poesia sta al centro, perché credo sia più attinente a una rilettura di quel brano che uscì nel 1973 e recita un verso: “Canta la gente che non vuol morire”. Io dal vivo prendo la licenza poetica e dico: “Canto la mia gente che non vuol morire”. È una cover che non è dispiaciuta affatto, neanche all’autore del brano, Patrizio Fariselli: “Finalmente ascolto una versione personale e coraggiosa del nostro pezzo”, è stato il suo commento. Per noi è stata una grande gioia, anche perché questo è stato uno tra i primi brani che ho ascoltato del repertorio pop-rock-progressive italiano quando sono approdato qui. Siamo entrati in punta di piedi nel mondo degli Area, che per noi è un tempio di mostri sacri con i quali siamo cresciuti». 

Quando noi eravamo Al Darawish, noi siamo passati per caso a Catania. Era appena uscito il nostro secondo disco nel 1996 con le edizioni de ilManifesto, vecchia gloria! Allora ci siamo detti: “Andiamo alla sede di Ottava”, la sua società di edizioni musicali. E lasciammo il cd. Dopo qualche tempo, ci chiama al numero di telefono che gli avevamo lasciato. Rispondo io e lui mi parla del disco che gli avevamo lasciato nella posta: “Complimenti, andate avanti”. Un messaggio molto garbato e generoso. Lui ha avuto la gentilezza di ascoltare il disco, di prestare attenzione a un piccolo gruppo del tutto sconosciuto e poi di telefonarci per incoraggiarci. Da allora è nata una grande amicizia

E poi c’è Franco Battiato: la vostra versione di “La stagione dell’amore” è molto rispettosa dell’originale. Voi siete stati grandi amici del Maestro di Milo.

«Noi abbiamo avuto la fortuna veramente di intrecciare i nostri percorsi di vita con Franco Battiato. Lui è un cuore grande, generoso, intelligente, ed è una persona di una sensibilità davvero rara, di un senso dell’umanità davvero raro. Lo ricordo con grande affetto, perché sapeva essere leggero, ma di quella leggerezza che non scivola mai nella banalità, una leggerezza di una spiccata intelligenza, con un grande senso dell’ironia. Io sono stato particolarmente fortunato per aver firmato con lui il brano “Aurora”, abbiamo scritto insieme il testo di questa canzone contenuta nell’album “Apriti Sesamo”».

È vero che vi voleva portare al Festival di Sanremo con il brano “Lontano”?

«Sì, sì, questa storia è vera. Ed è rimasto deluso, perché ci credeva fortemente nell’operazione. Purtroppo, il pezzo è stato scartato e Franco rimase molto contrariato».

Con Battiato vi siete conosciuti quando ancora vi chiamavate Al Darawish?

«In realtà no. Quello è un altro aneddoto. Quando noi eravamo Al Darawish, noi siamo passati per caso a Catania. Era appena uscito il nostro secondo disco nel 1996 con le edizioni de ilManifesto, vecchia gloria! Allora ci siamo detti: “Andiamo alla sede di Ottava”, la sua società di edizioni musicali. E lasciammo il cd. Dopo qualche tempo, ci chiama al numero di telefono che gli avevamo lasciato. Rispondo io e lui mi parla del disco che gli avevamo lasciato nella posta: “Complimenti, andate avanti”. Un messaggio molto garbato e generoso. Lui ha avuto la gentilezza di ascoltare il disco, di prestare attenzione a un piccolo gruppo del tutto sconosciuto e poi di telefonarci per incoraggiarci. Da allora è nata una grande amicizia. Nella sua casa, a Milo, siamo stati tante volte. Battiato era tra i primi nostri ascoltatori. Finita la lavorazione di un album, lo inviavamo subito a lui per avere dei consigli. Abbiamo fatto un sacco di strada con lui anche come produttore discografico. Io ho fatto anche un tour con lui nel progetto “Diwan” nel 2011. Per noi è un altro maestro, o forse meglio un educatore. La nostra educazione sentimentale si è appoggiata su queste grandi figure della musica: Battiato, Moustaki, Idir sono grandi anime del Mediterraneo, grandi visionari, grandi depositari di saggezza e di cultura basata sull’empatia, della quale oggi nel Mediterraneo la memoria sembra sbiadita».

Moustaki e Idir li hai conosciuti?

«Idir sì. Ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Purtroppo, ce l’ha portato via il Covid. L’ho conosciuto quando io e Michele curavano la direzione artistica di un festival denominato “Negramaro” che si fa in Salento. Noi abbiamo scelto Idir come uno degli artisti di punta di quella rassegna. Così ho avuto l’occasione di conoscerlo. Ma sono cresciuto sin da piccolo ascoltando Idir, avevo 10/12 anni, memorizzavo i suoi brani anche se in lingua berbera che non capivo del tutto. Mentre Moustaki, essendo nato e cresciuto in un Paese francofono, era uno dei cantanti francesi più popolari in Libano. Moustaki è un’altra anima del Mediterraneo: italiano, greco, egiziano, è un melting-pot ideale, assomiglia a quella lingua franca, che per un periodo è stata usata come lingua dei viaggiatori nel Mediterraneo, il Sabir, una sorta di esperanto. Ecco, Moustaki sembra uscire da questo Sabir. È un altro marinaio di questo mare che a me ha insegnato molto. Lui, come Battiato, come Idir, non sono semplici cantanti, hanno la poesia».

L’Italia ha lasciato la sua indole naturale, quella di essere un ponte, una rampa dentro il Mediterraneo, ed era questo il destino dell’Italia. Purtroppo, c’è stato un inciampo nell’avanzamento di questo karma, ed è andata fuori rotta. Ci sono persone, intellettuali che hanno ancora consapevolezza di questo ruolo che ha l’Italia come una forza mediterranea. Ha abdicato a questo ruolo per delle vicissitudini politiche, ma anche per un fallimento delle Sinistre nel formulare una politica mediterranea. Ha abdicato, lasciando a una destra che guarda verso il Nord. Il collegamento naturale dell’Italia lo vedo nel Sud globale. Noi abbiamo un cuore meridiano

Dal 1997 al 2997 sei stato giornalista per Al Jazeera, adesso la voglia di raccontare la trasferisci nelle canzoni?

«Sono un tuo ex collega, l’ho fatto per dieci anni come corrispondente di Al Jazeera, è stato molto faticoso. Sicuramente quello che scrivo riflette quello che sei, anche se spesso l’arte non è sovrapponibile all’artista. L’arte non è sempre l’artista e viceversa. Però quello che faccio nel mio piccolo è di raccontare ciò che rispecchia me stesso».

Come giornalista come racconteresti l’Italia di oggi ad Al Jazeera?

«L’Italia è un Paese che ha delle ottime energie, ma è un Paese disattento alla sua importanza. È un Paese che ha lasciato la sua indole naturale, quella di essere un ponte, una rampa dentro il Mediterraneo, ed era questo il destino dell’Italia. Purtroppo, c’è stato un inciampo nell’avanzamento di questo karma, ed è andata fuori rotta. Ci sono persone, intellettuali che hanno ancora consapevolezza di questo ruolo che ha l’Italia come una forza mediterranea. Ha abdicato a questo ruolo per delle vicissitudini politiche, ma anche per un fallimento delle Sinistre nel formulare una politica mediterranea. Ha abdicato, lasciando a una destra che guarda verso il Nord. Il collegamento naturale dell’Italia lo vedo nel Sud globale. Noi abbiamo un cuore meridiano. Per questo anche il titolo di questo disco, che riflette il pensiero di Franco Cassano, autore di “Il pensiero meridiano”, libro-testamento di questo grande intellettuale barese, dal quale abbiamo preso spunto».

I Radiodervish presenteranno “Cuore meridiano” in tour. Due le tappe in Sicilia: il 20 luglio a Messina e lunedì 22 a Catania.

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