Interviste

Greenaway: seguite il sentimento non i soldi

L’ottantenne regista inglese ospite del Matera Film Festival parla dei suoi «tanti progetti» e dello stato del cinema
«Vorrei che registi e cineasti facessero i film come un pittore che dipinge: vorrei che seguissero il sentimento. Oggi invece si cerca solo il profitto»
Un lavoro fra New York e Lucca sul rapporto tra mortalità e immortalità e quell’idea sul ruolo di Giuseppe nella Natività suggerita dalla Città dei Sassi
«Un film dovrebbe essere consapevole di essere un film». «Non lasciate che la verità rovini una buona storia»
Peter Greenaway, regista inglese di Newport, 81 anni

Dalla satira in costume de I misteri del giardino di Compton House alle ossessioni pittoriche di Vermeer ne Lo zoo di Venere, alla corporalità de Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante, fino alla sua opera più recente Walking to Paris, un biopic dell’artista rumeno Constantin Brâncuși, ispirato dalla sua seconda passione, quella per la pittura e la scultura. Arte, cinema, manierismo. Uno stile completo e complesso. Peter Greenaway, tra gli autori più influenti del cinema europeo, è uno degli ospiti del Matera Film Festival. 

A onta dei suoi 81 anni, il regista inglese – come esordisce in conferenza stampa – «ha tante idee» e sta lavorando a molti progetti. «Attualmente il mio prossimo film si chiamaLucca mortis ed è girato a Lucca. È abbastanza autobiografico e ha a che fare con la mia età. Si affronta il tema della morte». Alla città toscana il regista di Newport è molto legato. «A Lucca sono di casa, perché 8 o 9 anni fa feci una proiezione sulla facciata della chiesa francescana. Mi affascinano le grandi torri che risalgono al tempo della guerra, uno status per elogiare sé stessi dando in realtà poca protezione, erano in realtà lì per l’estetica».

Parlando del progetto, Greenaway approfondisce: «Per questo film ho fatto riferimento a uno scrittore americano che torna in Italia per investigare sul suo passato. Questo scrittore è di New York, la capitale delle torri moderne, troverete numerosi paralleli tra le torri antiche e quelle moderne. Farò un riferimento anche alla caduta delle Torri Gemelle. Visto che vicino a Lucca c’è Pisa, e sappiamo che c’è la famosa Torre che è molto particolare, farò dei riferimenti a questo monumento utilizzando il parallelo tra le torri moderne che non sono durate così a lungo e quelle antiche: c’è questo parallelo tra mortalità e immortalità».

Ma a Matera, il regista ha portato un altro progetto. «Sono molto affascinato da questa città, l’ho studiata e so che Pier Paolo Pasolini ha fatto qui Il Vangelo secondo Matteo, film che conosco molto a fondo. Avrei in mente di rivisitare la Natività e la posizione problematica di Giuseppe, “padre surrogato”. Mia figlia ha 22 anni e a 6 mi chiese come mai Gesù avesse due papà e io ho cercato in qualche modo di spiegarle tutto e mi sono rimaste in mente le ultime parole di Gesù: “Padre perché mi hai abbandonato?”. La risposta è probabilmente perché non era realmente suo figlio».

Le persone cercano ovviamente sempre la verità, ma questa è una cosa impossibile, perché non possiamo conoscere assolutamente tutto del passato, noi sappiamo quello che apprendiamo dalla parola scritta e anche la parola scritta può essere influenzata per motivi soggettivi dall’epoca in cui è stata trascritta. Quindi non vedo incentivi per riprodurre perfettamente la storia. Anche perché se qualcuno vuole conoscere la storia non deve andare al cinema ma in biblioteca

Peter Greenaway

Lei, in una dichiarazione, si è augurato che «la verità spesso rovina una buona storia». Cosa pensa di questa ossessione che c’è nel cinema per le storie vere?

«Questa è una dicotomia. Le persone cercano ovviamente sempre la verità, ma questa è una cosa impossibile, perché non possiamo conoscere assolutamente tutto del passato, noi sappiamo quello che apprendiamo dalla parola scritta e anche la parola scritta può essere influenzata per motivi soggettivi dall’epoca in cui è stata trascritta. Quindi non vedo incentivi per riprodurre perfettamente la storia. Anche perché se qualcuno vuole conoscere la storia non deve andare al cinema ma in biblioteca». 

La locandina del Matera Film Festival

Il cinema sta attraversando un momento molto delicato. Lo streaming minaccia l’esistenza delle sale, gli attori bloccano gli Studios ad Hollywood, l’ombra dell’intelligenza artificiale… Come vede il futuro del cinema? 

«Eh, questa è una domanda alla quale è molto difficile rispondere. Non posso rispondere, perché noi non possiamo sapere il futuro. Quando ero giovane, c’erano posti pubblici chiamati cinema dove tutti quanti si riunivano insieme a vivere l’esperienza cinematografica. Adesso è molto più privato: uno può vedere un film a casa sua, o sul telefono mentre viaggia e così via. Non è più una esperienza pubblica, collettiva. Non ho idea di come andrà a finire. Chissà forse come le cartoline che ognuno manda liberamente anche noi avremo totale accesso libero per creare e vedere come ci pare e piace».

Lei all’arte del cinema affianca quella della pittura. C’è un parallelismo?

«Io ho studiato quattro anni per essere un pittore e l’arte della pittura è vecchia di 45.000 anni e passa a confronto del cinema che ha poco più di un secolo. Il cinema è una forma d’arte ancora molto giovane e immatura. Io non sarò lì per poter vedere dove andrà a finire il cinema, ma sono molto affascinato. In realtà veramente poco è successo nella potenzialità del cinema. Uno potrebbe anche dire che Charlie Chaplin faceva il film nello stesso modo in cui li fa oggi Scorsese. Ho fatto circa sessanta film fra corti e lungometraggi e ritengo che per me il cinema è di grandissimo valore. Sono affascinato da quanto il cinema sia artificiale: quando state vedendo un film state vedendo un film, lo stesso lo stesso vale ovviamente per altre forme d’arte. Vorrei aggiungere che io dipingo grosso modo da quando avevo 13 anni e vorrei tanto che i registi e cineasti facessero i film come un pittore dipinge. Vorrei che seguissero il sentimento. Invece oggi il cinema è fatto soltanto per profitto o, almeno, quella è l’ambizione principale. Il cinema, anche in Inghilterra, è diventato streaming e mainstream. Anche film come quelli di Wes Anderson, che sono molto artificiali. Ripeto, un film dovrebbe essere consapevole di essere un film».

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