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Giovanni Sollima nuota con lo squalo giallo

– Il violoncellista conduce i due concerti dedicati alle musiche di Frank Zappa sabato 4 e domenica 5 maggio al Teatro Massimo Bellini di Catania 
– “The Yellow Shark” è l’album al quale si attinge di più: fu l’ultimo lavoro del genio di Baltimora e quello che lo fece entrare di diritto nell’empireo della “musica seria

Battezzato in onore di un pesce di plexiglas che il suo autore aveva ricevuto in regalo nel 1988, The Yellow Shark è l’album numero sessantadue della carriera di Frank Zappa. Sarebbe stato l’ultimo; lo sapeva, Zappa, da tempo malato. Ci volle una vita intera per emanciparsi dall’immagine di genio trasgressivo e freak che lo aveva reso protagonista negli annali del rock: solo pochi mesi prima della morte, nel 1992, il suo nome entrò di diritto nell’empireo della “musica seria”, quando una ventina di sue composizioni, vecchie e nuove, vennero eseguite in forma di suite al Festival di Francoforte e così collocate sullo stesso piano dei lavori di Cage e Stockhausen. Così non è un caso che da questo album attinga a piene mani Giovanni Sollima nei due concerti tributo a Frank Zappa che condurrà dal suo violoncello insieme con l’Orchestra del Bellini sabato 4 e domenica 5 maggio al Teatro Massimo Bellini di Catania. 

Correva il 1991 quando il collettivo tedesco Ensemble Modern contatta Frank Zappa per proporgli un’opera da presentare al Frankfurt Festival dell’anno successivo. Il genio di Baltimora accetta, pur sapendo che quello sarà il suo gran finale. «Quando Frank mi chiese di dirigere l’orchestra era già molto malato», ha raccontato il direttore dell’ensemble Peter Rundel in una intervista a Rolling Stone. «È stato molto sincero con me. Mi ha detto che non sapeva quanto tempo gli sarebbe rimasto, e che tutto avrebbe potuto risolversi in un’opera incompiuta».

Zappa non solo riuscì a completare la registrazione, ma presenziò alla prima tedesca condotta da Peter Rundel, salendo anche sul palco radunando tutte le sue forze per tenere ferma la bacchetta per tre brani fra i quali il follemente frenetico G-Spot Tornado, considerato uno dei suoi pezzi più difficili, scelto da Sollima per la performance al Bellini. Una composizione che Zappa racconta così: «Un giorno sono arrivato durante le prove del ‘91 e c’erano un po’ di orchestrali che stavano cercando di suonare questo brano. Gli piaceva molto, per qualche ragione, e hanno chiesto se potevano averne un arrangiamento per il concerto. Era un’altra delle composizioni al Synclavier (inclusa nell’album Jazz from Hell del 1986). Ne ho stampato i dati, l’ho consegnato e fatto orchestrare. Il resto è storia».

Get Whitey è il secondo estratto dall’album The Yellow Shark in scaletta nelle due serate “zappiane” al Bellini di Catania. «Il titolo nasce dal fatto che nella prima versione, provata quando il gruppo era venuto a Los Angeles, si usavano solo i tasti bianchi del pianoforte», spiegava l’autore. «Questa versione, però, è più cromatica. Pensavo di cambiarne il titolo, ma alla maggioranza del gruppo piaceva».

«È uno dei cosiddetti brani semplici, però la trama della melodia è molto, molto complicata», sottolinea Peter Rundel. «Secondo me, è bellissimo, non solo per come la melodia è costruita e s’intreccia attraverso il brano, ma anche in termini di armonia».

Sempre da The Yellow Shark viene Be-Bop Tango, altro brano selezionato da Sollima. È una vecchia composizione che era stata suonata spesso dalla band della tournée del 1972-73. «Essendo un tema abbastanza conosciuto da una parte del pubblico, ho pensato che non ci fossero motivi per non includerlo, in un arrangiamento classico, in questo concerto», commentò al tempo Zappa. 

Oltre alla strumentazione, l’elemento nuovo è la sezione in mezzo dove i musicisti sembrano suonatori di jazz che rendono discorsivo quel genere. «Frank ci ha detto che dovevamo immaginare di trovarci improvvisamente seduti in un ristorante e di dovere suonare un pianoforte da ristorante (in una stucchevole sala da cocktail), mentre la gente parla e ride. È divertentissimo», ha spiegato Peter Rundel.

Ed è una rivisitazione di un brano del passato anche Dog/Meat, che il violoncellista estrae sempre dall’album dello squalo giallo. Questa composizione venne eseguita la prima volta nel 1977 da un gruppo di quaranta elementi (l’Abnuceals Emuukha Electric Symphony Orchestra), al concerto nella Royce Hall dell’Università della California a Los Angeles. Pochi anni dopo, fu richiesto a Zappa un arrangiamento dal Netherlands Wind Ensemble, una ventina di elementi. È stata ridotta e riorchestrata per la dimensione e la configurazione di quel gruppo. Ali Askin ha riorchestrato questa versione per l’Ensemble a partire dalla versione del 1983. Entrambi i temi usati qui risalgono al 1967 (hanno fatto il loro esordio sull’album Uncle Meat del 1968).

«La prima volta che l’ho sentito mi ha ricordato molto Stravinskij, con i suoi modelli irregolari», spiega Rundel. «Eppure, la melodia è molto Frank Zappa. Molto spesso si ha l’impressione di una qualità discorsiva della sua musica, anche se non ci sono dei versi (Rundel non sapeva che Dog breath avesse dei versi). La sua musica parla moltissimo».

Un tipico fan di Zappa potrebbe annoiarsi ad ascoltare questo disco, mi riferisco a tutti quelli che l’hanno apprezzato come chitarrista in Shut Up And Play Yer Guitar o come pazzoide sboccato in Cheap Thrills. Certamente ostico per gli amanti del rock, The Yellow shark resta tuttavia uno dei vertici della discografia zappiana, e forse il disco che meglio ne documenta lo spessore compositivo. Meglio di Stockhausen o Cage, il genio di Baltimora è riuscito a creare qualcosa che potesse essere tranquillamente inserito nelle avanguardie del Novecento pur essendo vicino melodicamente ai gusti del grande pubblico. Dopo tutto, Frank Zappa è ironia. Fin dal debutto con il doppio album Freak Out! nel 1966 – il produttore Tom Wilson lavorava anche con Bob Dylan e John Coltrane – e attraverso tutti i progetti successivi, il musicista le cui origini affonderebbero in Sicilia (Partinico, per la precisione) ha sempre guardato le mode e il conformismo dall’alto in basso. 

Dotata di una bellezza mai compiacente e anzi a tratti sgradevole, forse non dissimile dalla bellezza della verità, la musica di Zappa mette alla berlina il politicamente corretto, le virtù di massa, il trionfo capitalistico e industriale, i patriottismi che risuonano a vuoto. Con ogni evidenza, la generazione Dada l’avrebbe considerato un fratello. E, con umorismo, Zappa ci impartisce una lezione troppo spesso dimenticata o trascurata: che non esistono confini musicali se non quelli che noi stessi, pubblico e critica, creiamo; ma mari e oceani sono un unico corpo d’acqua e basta cavalcare la giusta corrente per ritrovarsi a nuotare con gli squali gialli.

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