Disco

Dino Rubino e la regola del tre

– Il pianista siciliano pubblica “Solitude”, opera imponente in 3 cd, con 33 canzoni, della durata di 3 ore e 3 minuti, suonata in trio
– Un lavoro che compendia tutte le sfumature del jazz. «Amo la musica a 360 gradi; la canzone, il rock, il folk, il blues, il jazz, la classica»
– Il musicista in tour da ottobre con il nuovo spettacolo teatrale di Paolo Fresu dedicato a Miles Davis
La copertina dell’album

Tre dischi, trentatré brani (due più persino dell’ultimo album della bulimica Taylor Swift), tre musicisti «e la durata totale della musica è di tre ore e tre minuti…», sorride Dino Rubino, parlando di Solitude, imponente album triplo – due volumi di brani composti in questi ultimi anni dal pianista siciliano e il terzo quasi interamente di standard – pubblicato lo scorso 26 aprile per la Tǔk Music di Paolo Fresu.

«Prima di entrare in studio, avendo compreso che la musica scritta da me era tanta, mi era passato per la mente di registrare trentatré brani originali per poi pubblicare un triplo, giocando sul numero tre», racconta. «Dopo pochi minuti, l’idea svanì, mi sentivo in gabbia con simili costrizioni. Alla fine della registrazione in studio mi sono reso conto che, tra originali e standard, i brani erano trentatré. Parlando poi con Paolo si è pensato di pubblicare un triplo». 

Solitude, a primo approccio, ingannati forse dal titolo, dà l’idea di un album in solitaria. Scopri solo ascoltando che il titolo è riferito al famoso standard di Duke Ellington e che non sei solo al piano, ma in compagnia degli amici fidati Stefano Bagnoli alla batteria e Marco Bardoscia al contrabbasso.

«Trino e uno, anche qui ritorna casualmente il tre. Forse non si è mai soli e non si è mai in compagnia, le due cose si intersecano per una vita intera».

Nel comunicato stampa, si dice che torni «a registrare in trio dopo oltre dieci anni: l’ultimo disco con questo tipo di ensemble è Zenzi, uscito nel 2011». Eppure, nella tua discografia risulta una Home Recording Session del 2018 registrata con Nello Toscano e Rino Cirinnà.

«Quella con Rino e Nello è una registrazione in trio che non è mai stata pubblicata come disco fisico ma soltanto sul digitale, inoltre cambiano gli strumenti. Quella del 2018 è una formazione trio sax-piano-contrabbasso».

Tu, comunque, sei abile nel suonare con qualsiasi combinazione. 

«La dimensione che mi piace di più è quando la musica scorre, che sia in solitaria, trio, quartetto o orchestra non importa». 

In Zenzi omaggiavi Miriam Makeba, qui in Solitude tocchi tutte le sfumature del jazz: bebop, swing, mainstream, contemporary, classical, minimalista, ballad, melodia. È poetico, intenso, impegnato, passionale, rilassante, energico, leggero, divertente…

«Amo la musica a 360 gradi; la canzone, il rock, il folk, il blues, il jazz, la musica classica. E tutto questo lo porto con me, nelle cose che scrivo, negli ascolti giornalieri, nei viaggi tra un luogo e l’altro. Viaggiando molto mi capita di associare un hotel, una piazza, una via, un teatro, un determinato punto di una città ad una canzone che in quel preciso momento mi accompagnava».

Molti brani hanno nel titolo nomi di donna: Nina, Giorgia, Emy, Rosa, Donna Lee?

«Sono dediche, storie di amicizia, di amori e di affetti». 

E poi ci sono due canzoni dedicate a uomini: Aldo e Paolo.

«Song for Aldo è dedicata ad Aldo Romano, Song for Paolo a Paolo Fresu. Penso che le dediche, se sono autentiche, vengono a cercarti, a te non rimane altro che accoglierle e poi rilanciarle». 

Come è avvenuta la scelta delle cover che compongono il terzo disco?

«Luca Devito, mio amico che lavora al fianco di Paolo da anni, dopo settimane di indecisione sulla cover mi manda una immagine su whatsapp scrivendo; secondo me questa ti piacerà. E aveva ragione, l’ho scelta dopo pochi secondi». 

Chat with Chet, unico inedito del terzo cd, è l’ombra del tuo alter ego trombettista che ti insegue?

«Non mi reputo un ex trombettista, probabilmente sono un trombettista anomalo ma non “ex”. Questo brano l’ho scritto dedicandolo a Chet Baker e pensando alla tromba di Paolo che lo avrebbe suonato».

All’interno della copertina c’è una frase di Alda Merini: «Ognuno di noi ha vissuto qualcosa che l’ha cambiato veramente». Qual è il “qualcosa” che ti ha cambiato veramente?

«C’è un preciso momento nella vita, almeno per me è stato così, in cui si decide di partire, di intraprendere un viaggio ignoto. Io, di quel momento, ricordo giorno, mese e anno. Poi ci vuole coraggio, costanza e resistenza per continuare il viaggio». 

Presenterai questo lavoro in tour? Anche se a “Jazz in Vigna” sei annunciato in versione brasileira.

«Per il momento non ho nessun concerto con il trio ma, sempre con lo stesso, saremo in tour da ottobre a marzo del prossimo anno con il nuovo spettacolo teatrale di Paolo Fresu dedicato a Miles Davis».

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