Storia

BabelNova Orchestra, un “Magma” di suoni

– Il nuovo progetto multietnico continua la missione della storica Orchestra di Piazza Vittorio adeguandosi ai tempi, ai cambi generazionali e alle evoluzioni interne. Esce l’album di debutto: suoni che dal deserto del Sahara arrivano alle Ande, conditi con funky, soul, fusion, dub, ska, rock, cumbia, esplosioni mariachi
– «È una riedizione un po’ più urbana, con il nucleo storico della precedente esperienza e musicisti della seconda generazione con un suono più internazionale». «In questi vent’anni è peggiorata la filiera culturale. L’Italia non è più un Paese attrattivo per gli artisti stranieri. L’emigrazione qui è forza lavoro da sfruttare più che da valorizzare»
– «L’apparizione a Sanremo con Dargen D’Amico è stata importante per far conoscere il progetto, ma è la dimensione sociale quella che più ci importa». Il disco sarà presentato con un concerto speciale il 19 giugno a Roma in occasione della celebrazione della giornata mondiale del Rifugiato. In agosto in Sicilia

Piazza Vittorio, circondata da portici secondo lo stile piemontese, era il cuore pulsante del quartiere più cosmopolita di Roma, l’Esquilino. Un suq multirazziale. Oggi sono rimasti i profumi e il bandeggiare di un mercato “sfrattato” dalle bancarelle che su due file circondavano la piazza e contenuto nei locali di una ex caserma. L’impennata degli affitti, la crisi economica, ha fatto migrare il popolo straniero in altre zone della capitale, nelle periferie. «Oggi tutta Roma è una città multirazziale: il multietnico è diventato normale e bisogna dare una lettura diversa di quello che proponiamo».

Da questa constatazione di Pino Pecorelli nasce la BabelNova Orchestra, continuazione e sviluppo di quell’incontro di etnie, suoni, strumenti, colori, lingue e culture che per vent’anni è stata la storica Orchestra di Piazza Vittorio. Di quella esperienza Pino Pecorelli ha fatto parte sin dagli inizi e, adesso, insieme a vecchi e nuovi compagni d’avventura ha dato vita al nuovo ensemble. Che, come lascia intuire il nome, resta fedele alle sue motivazioni di partenza: una nuova Babele di lingue e di suoni, un incontro di culture e razze. «Musicisti che parlano lingue diverse e contribuiscono a creare un suono, dove però ognuno mantiene la sua identità. Non è la ricerca di un linguaggio unico e universale, ma una Babele, appunto», sottolinea Pecorelli. 

«È una sorta di reset da parte del nucleo storico dell’Orchestra di Piazza Vittorio», interviene Peppe D’Argenzio, anch’egli un ex confluito nella BabelNova. «Si avvertiva il bisogno di mettere un po’ di ordine soprattutto in seguito alla pandemia che aveva scombinato le dinamiche di lavoro. Qualcuno si è trovato in difficoltà ed ha dovuto fare altre scelte, per cui ci siamo trovati nella situazione di pensare a un soggetto nuovo che fosse più contemporaneo. Negli ultimi anni, l’OPV aveva avuto tutta una quantità di attività diversificate e volevamo invece cercare di focalizzarci su un repertorio di canzoni, recuperando la dimensione sociale». 

Come si ascolta nell’album di debutto, intitolato Magma, la BabelNova Orchestra rientra nell’alveo della world music. Una colata lavica incandescente e travolgente di suoni etnici che dal deserto del Sahara arriva alle Ande, dal Medioriente ai Caraibi, condito con funky, soul, fusion, dub, ska, rock, cumbia, esplosioni mariachi. «Un suono globale, anche perché questa riedizione è un po’ più urbana, più occidentale», commenta Pecorelli. «È una svolta dettata dalla volontà musicale degli interpreti di questa nuova avventura. Mario Tronco, uno dei fondatori e direttore artistico dell’OPV, ci aveva portato su un percorso operistico. Questa esigenza non c’è più perché era molto collegata a Mario che ha deciso di intraprendere un suo cammino autoriale e creativo, pur restando legato a noi, tant’è che è co-autore di due brani, e anche in seguito alla scomparsa di Leandro Piccioni, un musicista accademico che aveva una ampia visione sonora e faceva da collegamento fra i due indirizzi, quello classico-operistico e quello più fedele alla world music. L’ambizione è di tornare sul mercato concertistico con un suono più vicino alla world».

«L’esperienza delle opere è stata molto interessante, stimolante, Il Flauto Magico è stato l’episodio più importante, quello che coinvolgeva tutta l’orchestra», aggiunge D’Argenzio. «Però quando scegli di fare un percorso teatrale, inevitabilmente devi adeguare gli organici. Dopo Il Flauto Magico c’è stata una serie di lavori per cui il marchio OPV è diventato un contenitore un po’ confuso. Gli stessi musicisti hanno dato vita a progetti collaterali. Ad esempio, Ernesto Lopez era venuto da Cuba sognando di suonare con Laura Pausini e ora sta lavorando con lei. È un modo di rimettere a fuoco la strada da seguire».

Molti musicisti sono qui da trent’anni e sono diventati italiani, non solo da un punto di vista legale, ma anche creativo. E poi sono entrati giovani che fanno parte della seconda e terza generazione, ragazzi di 26-30 anni nati in Italia da genitori italiani e stranieri. C’è un cambio generazionale. La BabelNova è composta da 12 elementi, quelli storici provenienti dal Sudamerica (Ecuador, Cuba, Argentina, Perù) e dal Nordafrica, la novità è l’inserimento delle seconde generazioni con origini in Centrafrica

Pino Pecorelli

E poi è balenata un’altra importante esigenza. Adeguare l’orchestra ai cambiamenti del tempo, alle nuove generazioni. «Molti musicisti sono qui da trent’anni e sono diventati italiani, non solo da un punto di vista legale, ma anche creativo. E poi sono entrati giovani che fanno parte della seconda e terza generazione, ragazzi di 26-30 anni nati in Italia da genitori italiani e stranieri. C’è un cambio generazionale», spiega Pecorelli. «La BabelNova è composta da 12 elementi, quelli storici provenienti dal Sudamerica (Ecuador, Cuba, Argentina, Perù) e dal Nordafrica, la novità è l’inserimento delle seconde generazioni con origini in Centrafrica».

«Questo cambio generazionale pone il problema del rapporto tra le origini e il contemporaneo», ragiona D’Argenzio. «I ragazzi sono meno custodi delle tradizioni, rispetto ai musicisti con i quali abbiamo iniziato. Hanno una attrazione più verso il linguaggio internazionale, il rap. È il momento di fare i conti su cosa è cambiato in Italia».

La BabelNova Orchestra: Pino Pecorelli è il secondo da destra in prima fila, Peppe D’Argenzio il primo a destra in seconda fila

Per annunciare il progetto BabelNova Orchestra siete saliti sul palco dell’Ariston nella serata delle cover per duettare con Dargen D’Amico in un omaggio a Ennio Morricone. L’album Magma, invece, sarà presentato con un concerto speciale il 19 giugno a Roma in occasione della celebrazione della giornata mondiale del Rifugiato (mentre il 15 agosto sarete a Canicattini Bagni). È un progetto orientato verso il mercato o l’impegno?

«L’impegno è una parte centrale nel nostro discoro per dna e missioni», replica Pecorelli. «Siamo un simbolo in un momento che sembra eterno. Mi sembra di ridire le stesse cose che dicevo dieci anni fa con l’OPV, tra guerre regionali, conflitti etnici e difficoltà di concepire in Italia politiche di accoglienze reali, il nostro compito è quello di cercare di far riflettere sulla necessità di un confronto». 

«Cercavamo un po’ di attenzione e la presenza a Sanremo è stata un po’ strumentale», ammette D’Argenzio. «Abbiamo approfittato di una vetrina importante per far passare il nome e questo nuovo progetto. A noi interessa il secondo aspetto, quello dell’impegno sociale. Le dinamiche ed i meccanismi del pop si sono ormai di molto allontanati da quella che è la nostra formazione, la nostra cultura». 

La copertina dell’album di debutto della BabelNova Orchestra

In questi vent’anni avete notato dei cambiamenti nell’atteggiamento delle persone nei confronti dello straniero? E, in particolare, qual è stata, se c’è stata, l’influenza del clima politico?

«Di governi ne abbiamo visti tanti, di tutti i colori e la cosa che noto è di quanto la politica e la società siano completamente staccate fra di loro», osserva Pecorelli. «L’atteggiamento della gente non cambia dall’esito del voto, c’è sempre interesse nei confronti della diversità. Quello che è peggiorato è tutto ciò che riguarda la filiera culturale. L’Italia non è più un Paese attrattivo per gli artisti stranieri. Vent’anni fa c’erano molti più musicisti provenienti da aeree del mondo per cui il nostro Paese era un punto di riferimento. Oggi trovare un musicista brasiliano a Roma o la stessa quantità di musicisti senegalesi o rumeni che c’era vent’anni fa è impossibile. Si contano sulle dita di una mano. Un po’ forse perché a quel tempo c’era una maggiore attenzione nei confronti della world music, più concerti, più luoghi di incontro. Oggi le occasioni si sono ridotte. Vent’anni fa come OPV avevano così tante richieste che non riuscivamo a gestirle. Ora queste richieste non arrivano, non perché non sei sul pezzo. L’emigrazione qui è forza lavoro da sfruttare più che da valorizzare». 

«Oggi, dopo la pandemia, il mercato è mutato», aggiunge D’Argenzio. «I musicisti non possono più legarsi a un unico progetto perché per loro non sarebbe possibile sopravvivere e quindi devono fare mille cose. C’è bisogno di un organico più flessibile e aperto, c’è bisogno di conoscere altri musicisti. Questo disco è un momento di passaggio: c’è parecchio di quello che siamo stati, c’è un po’ di quello che vorremmo essere, ma è soprattutto una occasione per ripensare alla nostra storia».

Come le musiche, anche i testi di Magma sono variegati: parlano di ambiente, di rispetto per la Terra, amori lontani per donne e uomini dei Paesi che ci si è lasciati alle spalle, sentimenti non corrisposti, desiderio di pace e libertà ma anche ironia verso i poteri forti. Colpisce, in chiusura, Un cantante di sufi, surf music alla maghrebina: «Se Chuck Berry fosse nato a Tunisi, il rock suonerebbe con darbuka, batteria e oud». Un brano in cui Magdy Elkzonkorany e Ziad Trabelsi scrivono: «Ero un cantante e cantavo alle feste / Una volta a una festa dell’alta società / io stavo cantando le lodi di Dio / e ho raggiunto un altro stato di coscienza, Dio è vivo, Dio è vivo, non è morto / Dio conosce le nostre intenzioni, / quand’ecco una pattuglia fa irruzione e divento una vittima, mi porta in prigione». 

«È una critica ai sistemi sociali e politici dove le democrazie sono soltanto di facciata», spiega Pecorelli. Uno dei tanti motivi per i quali molte persone sono costrette a fuggire dai loro Paesi per cercare accoglienza in Europa.

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