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Addio Pino D’Angiò, inventò il rap italiano

– L’artista campano aveva 71 anni, aveva subito sei operazioni di cancro alla gola, un tumore polmonare («ma grazie alle terapie da due anni se ne sta fermo lì…», diceva), un sarcoma e un infarto
– Stava vivendo una nuova vita musicale con “Ma quale idea”, il suo più grande successo (12 milioni di copie nel mondo). Era tornato a Sanremo 2024 per duettare con i Bnkr44. L’ultimo show il 14 giugno scorso

Se è realistico, e supportato dalle fonti, affermare che la festa organizzata l’11 agosto di cinquant’anni fa al 1520 di Sedwick Avenue in un “Block” del West Bronx in cui DJ Kool Herc ha messo i dischi per un centinaio di persone è il primo passo ufficiale dell’hip hop. Con quasi altrettanta sicurezza si può inserire tra le date più probabili di nascita del rap italiano il 16 dicembre 1980, giorno d’uscita di Ma quale idea, funkettone che campionava la linea di basso di Ain’t no stoppin’ us now del duo McFadden & Whitehead mentre Pino D’Angiò – all’anagrafe Giuseppe Chierchia (Pompei, 14 agosto 1952) – faceva lo sbruffone da discoteca, vantando conquiste inesistenti.

A 71 anni, artista di culto proprio per quel brano, con una corda vocale sola dopo sei operazioni di cancro alla gola, un tumore polmonare («ma grazie alle terapie da due anni se ne sta fermo lì…»), un sarcoma e un infarto, Pino D’Angiò ci ha lasciati proprio nel momento in cui stava vivendo un’altra giovinezza. Lo scorso anno era stato ospite del FestiValle di Agrigento ed i Bnkr44 lo avevo portato sul palco dell’Ariston nella serata dei duetti di Sanremo 2024 proprio per cantare il suo hit, Ma quale idea.

Al Festival c’era già stato nel 1989, quando finse addirittura uno svenimento al concorso che avrebbe potuto portarlo al Festival di Sanremo. «Io non volevo andarci, il mio personaggio strafottente non era adatto al Festival. Fu l’organizzatore, Adriano Aragozzini, ad insistere. Solo che quando mi disse che alla finale non sarei passato, non potendo ritirarmi pensai di organizzare quella messinscena. Prima però chiamai mia madre: qualsiasi cosa accada in tv sappi che non è vera», raccontò.

Pino D’Angiò, definito da Billboard il fondatore della musica trance per il brano The Age of Love, era tornato sulle ali della riscoperta da parte dei giovani dopo un decennio in cui era rimasto lontano dalle scene. Era stato rilanciato da Tommiboy, un dj italiano con cui si è esibito in tour in diversi live negli ultimi anni. L’ultimo dei quali lo scorso 14 giugno a Jesolo.

Pino D’Angiò

Ma quale idea, secondo Wikipedia, ha venduto dodici milioni di copie nel mondo, conquistando persino un dj come Bob Sinclair che la cita tra le sue “reference” italiane. «Quel pezzo ha fatto davvero il giro del pianeta, e io con lui: Francia, Spagna, Germania, Argentina, Stati Uniti, Giappone, Sudamerica, Russia…», mi raccontava alla vigilia di Festivalle. «Ma quale idea funzionò perché era una novità, nello stile vocale, il rap appunto, nel sound danzereccio, nell’ironia della narrazione: sembravo il ragazzino che finge di averle rimorchiate tutte e, invece, è rimasto a bocca asciutta. Con questo pezzo c’è un rapporto come con una donna bellissima ma un po’ zoccola (ride), Nel senso che la devi ringraziare perché ti ha cambiato la vita, ma certe volte la odi perché la gente ti riconosce per quella, come se avessi fatto solo quella. Ho fatto una valanga di cose, anche più importanti. Io ho vinto dischi d’oro per brani come Evelonpappà evelonmammà che in Italia non li hanno manco mai sentiti. E quindi a volte mi lamento… ma, nella realtà, se non ci fosse stata quella canzone oggi non sarei qua. O meglio, sarei qua comunque ma senza tutto quello che mi è successo. Sarei un medico di terza categoria da qualche parte, non sono mai stato tagliato per fare quel lavoro».

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