Storia

Cassandra Raffaele, Brunori e la più bella canzone d’amore

– Esce il nuovo singolo della “cantora” di Vittoria in coppia con il cantautore calabrese: un gioiello prezioso nel testo e nella musica, pieno di bellezza e poesia
– «Sentivo il bisogno di scrivere per la prima volta una canzone sui sentimenti ed ho voluto puntare in alto… Non so se sarà la più bella, spero che possa emozionare qualcuno» 
– «So che sto parlando di un argomento, come l’amore, che per molti può sembra banale. Però in un modo o nell’altro dobbiamo riuscire a rendere virale la bellezza»

A inizio dello scorso agosto, inaspettato mi ritrovo sulla chat di Messenger un messaggio di Cassandra Raffaele, cantautrice, musicista e produttrice siciliana. Mi scriveva che le avrebbe fatto piacere condividere con me un nuovo brano realizzato con Brunori. Sorpreso, nonché lusingato, ovviamente accetto, con la promessa ovviamente di mantenere il silenzio più assoluto. La canzone s’intitola La più bella canzone d’amore. Un titolo pretenzioso, commento con me stesso. Si può scrivere una canzone d’amore più bella di Don’t Give Up di Peter Gabriel e Kate Bush o di Tu sì ‘na cosa grande di Domenico Modugno? Ascolto il pezzo della “cantora” di Vittoria. Una, due, tre volte. E le scrivo: «La risposta è nel titolo stesso».

La più bella canzone d’amore è un gioiello prezioso, sia nel testo (se ascolterete bene le parole) sia nella musica (se aspetterete fino alla fine). È un brano pieno di bellezza, pudore e stelle. È una di quelle canzoni «che ascolti per la prima volta e ti entrano subito sotto la pelle». Un pezzo che sa di antico, romantico, arioso, avvolgente, emozionante. Da venerdì 18 ottobre può essere ascoltata su tutte le piattaforme digitali, stupendo biglietto da visita che annuncia l’arrivo di un album, previsto per il prossimo anno.

Cassandra Raffaele, anima rock, sonorità blues, contaminazioni elettroniche e immaginario cantautorale onirico e ironico, ha attraversato i paesaggi più disparati – dalla natìa Vittoria ai lapilli rock della Catania anni Duemila, poi Londra, Roma, il palco di X Factor nel 2010 e quello di Musicultura, dove ha vinto due volte nel 2013 e nel 2022, sempre un po’ in giro, come canta nel brano Le Mie Valigie. Finché non segue la strada che le indica il cuore e che otto anni fa l’ha portata a Cesena: «Ho approfittato di un trasferimento per motivi di lavoro del mio ragazzo», racconta. «Appena arrivata, la prima cosa che ho cercato è stato un negozio di dischi. Lì ho trovato le risposte alle mie esigenze: gli studi di registrazione, i musicisti locali, una etichetta discografica. Ho incontrato Roberto Villa, che è il produttore di Camera Oslo (il terzo album uscito nel 2022, ndr) e di La più bella canzone d’amore».

È nato prima il titolo o la canzone?

«Questa volta è nato prima il titolo. Perché per me è stata una esigenza: sentivo il bisogno di scrivere una canzone d’amore. Finora non ne avevo mai scritta una esplicita, ero stata sempre molto sobria, indiretta nel trattare l’argomento, ho usato spesso metafore, immagini. “No, io ci devo provare”, mi sono detta. Ormai sembra più facile parlare di “non amore”, di distruzione, omicidi, guerre, bombardamenti, piuttosto che di amore. Quindi me lo sono imposto come qualcosa di personale, ma che potesse essere contestualizzato con il momento che stiamo vivendo. E poi ho pensato che c’è tanta gente che ha bisogno di una dedica speciale d’amore e io mi sento dentro quelle persone che magari non hanno mai ricevuto una canzone d’amore da qualcuno».

La “più bella” non è un poco pretenzioso?

«Dovevo per forza pormi un obiettivo alto, perché non ero abituata a scriverne. “O la scrivo proprio bella o è meglio che non la scrivo”, mi sono imposta. “Punta in alto, punta all’Everest”. Poi anche se ti fermi al primo ristorante, come dice Brunori nella sua canzone, va bene lo stesso… Non so se sarà la più bella, spero che possa emozionare qualcuno».

Lo hai tirato in ballo, come è nata la collaborazione con Dario Brunori?

«Conosco Dario da più di dieci anni. Ci siamo incontrati la prima volta dietro le quinte dell’Indiegeno Fest in Sicilia ed è nata subito una amicizia, una sintonia, una intesa musicale, a pelle ci siamo subito trovati. Negli anni, lui è stata una delle poche persone alle quali ho fatto ascoltare le mie bozze. Mandai a lui Sarà successo La mia anarchia ama te, e lui mi ha risposto sempre su whatsapp con recensioni epiche su messaggi vocali. Questa canzone è nata piano e voce e subito ho immaginato: “Quanto sarebbe bello se ci fosse Dario su questo pezzo”. Sapevo che era molto impegnato perché stava preparando il nuovo disco, io timidamente gli ho mandato il pezzo: “Boh, vedi tu… Ti potrebbe interessare la cosa?”. E lui, dopo qualche giorno, mi ha risposto: “Guarda io ti volevo dire di no, perché fare un altro duetto (avevano fatto La sirena e il marinaio nell’album Chagall del 2015)…, Però la canzone mi è piaciuta. E quindi cosa ti devo dire: facciamola”. Ci siamo visti in studio, mi ha dato il suo feedback, l’abbiamo cantata e, alla fine, l’abbiamo registrata. Per certi versi ho ripetuto quello che era accaduto all’interno del brano La sirena e il marinaio, dove c’è un dialogo amoroso tra appunto la sirena e il marinaio, e in questo caso comincia lui a cantare, immaginando uno scambio molto intimo fra due persone che magari stanno insieme da molto tempo o che si incontrano per la prima volta. C’è il ritrovarsi sull’inciso, poi la separazione nelle strofe. Io spero che il pezzo, indipendentemente da chi lo canta, possa arrivare a tutti con le parole».

Nella canzone Brunori canta: “Ascolta bene le parole, le parole”. C’è oggi questa attenzione alle parole da parte di chi ascolta?

«Purtroppo no, inutile negarlo. È uno sforzo che si chiede oggi a chi ascolta musica. Però è anche vero che è uno stimolo per chi scrive a adeguarsi a questo sistema da “hic et nunc”, di cogli l’attimo, nel riuscire a dire tutto in maniera sintetica senza risultare banale. Questo non significa che accetti che tutto sia leggero, passeggero. In qualche modo cerchi di attirarle le persone con quello che dici. In musica, ma anche nella scrittura, nell’informazione, viviamo in un periodo in cui c’è una saturazione della parola. Si fatica a toccare l’interesse della gente. L’attenzione di una persona dura tre secondi, che è il tempo che si impiega a scivolare con il dito sulla notizia o sui social. La normalità sembra ormai che non attecchisca. So che sto parlando di un argomento, come l’amore, che per molti può sembra banale. La stupidità ha più efficacia ed è più virale dei sentimenti stessi. Però in un modo o nell’altro dobbiamo riuscire a rendere virale la bellezza, virale la poesia». 

Prima di questa, quali erano per te le più belle canzoni d’amore?

«Ne ho una infinità. Una è L’esigenza dei Radiodervish, per me è un capolavoro, una bellissima canzone d’amore. Così come quella che cantò Battiato sul testo di Sgalambro insieme a Carmen Consoli, Tutto l’universo obbidisce all’amore. E poi mi piace tantissimo La donna cannone, e qui vado sul classicone, De Gregori. Ma è anche bella Woman di John Lennon, secondo me anche lì c’è una bellissima dichiarazione d’amore. Ma sono infinite… Io ne ho parlato sempre poco d’amore, ma fondamentalmente sono una romanticona!».

Stai raggiungendo l’importante boa dei 50 anni, hai raccolto premi, riconoscimenti, attestati di stime da parte di tanti tuoi colleghi. Non ritieni, tuttavia, di aver ricevuto poco rispetto a quello che hai dato?

«Ormai sono disincantata. Il mio obiettivo è soltanto di dare per il piacere di dare, non per ricevere. Mi auguro che quello che do possa raggiungere più gente possibile. La mia idea di fare musica è scrivere canzoni che la gente possa cantare. Poi continuo a nutrire i miei sogni, ho il mio immaginario: il palco di Sanremo rimane sempre un mio pensiero, sarebbe molto bello, così come sogno tantissime altre cose, ma l’importante è fare quello che amo».

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