Interviste

Gera Bertolone, una “Femmina” sicilienne

– La chanteuse nissena pubblica il suo secondo album nel quale mescola tradizione e rock: «Parlo della volontà delle donne, di abbattere le barriere sempre eterne, delle libertà da difendere e da conquistare. È un messaggio universale»
 – Nel 2009 ha lasciato Mussomeli per trasferirsi a Parigi e volare sulla scia di Saint-Exupéry nei cieli della musica alla ricerca di un «suono personale» fra rock, folk, elettronica e classica: «È la trasmutazione della tradizione nel mio essere»

«Sugnu fimmina siciliana / Sugnu una senza campana / Quannu giru pi lu munnu / Rapu a vucca e stringiu u pugnu». È il ritornello di Abballati (Ballate!), ritmo irrefrenabile e loop ipnotici che ci introducono nel mood di Femmina, secondo album di Gera Bertolone, chanteuse siciliana. È l’autoritratto di una ragazza che si è costruita un futuro con le proprie mani e, nello stesso tempo, un inno liberatorio che esorta tutte le donne all’emancipazione.

«È un riflesso di me stessa, di una fierezza, ma è un messaggio che lancio a tutte le altre donne», sottolinea l’artista nissena. «Sono libera e quando vado nel mondo posso parlare forte, posso tenere il pugno alto, per dire che ho la forza, che posso comandare, ma è un messaggio che do per dire a tutte le altre donne che bisogna cercare la propria libertà, non bisogna avere paura di parlare, bisogna avere il coraggio di essere sempre se stesse, autentiche. È un messaggio universale. Parlo della volontà delle donne, di abbattere le barriere sempre eterne, delle libertà da difendere e da conquistare. Femmina è il termine più conciso per sintetizzare il mio sentimento artistico. È una essenza, e io volevo andare all’essenza di tutto».

Gera Bertolone (foto di Philippe Porter)

Gera Bertolone lo dice alternando la cadenza nissena a una “erre” moscia alla francese. Dal 2009, quando aveva 25 anni, ha lasciato Mussomeli, la città dove è nata e cresciuta e dove ha i suoi familiari, per trasferirsi all’estero. «Finiti gli studi in musicologia e etnomusicologia a Palermo, volevo andare a fare una esperienza all’estero», racconta. «Tra Londra e Parigi ho scelto la seconda per via della lingua». 

Inizialmente per studiare all’Università, dove si è specializzata in musicologia, poi per intraprendere la carriera musicale: «Sono diventata produttrice musicale di spettacoli, di dischi, ho fondato la società Sonora che produce concerti e anche una etichetta discografica». Il debutto come cantante, pardon chanteuse, nel 2015 con l’album La Sicilienne, che le ha fornito il soprannome con il quale è diventata famosa in Francia. Dieci anni dopo pubblica il secondo lavoro Femmina, undici canzoni potenti nate da speranze e desideri. Un’opera diversa nello spirito della precedente, sintesi di quei voli sulla scia di Saint-Exupéry con cui Gera ha sorvolato i cieli della musica.

«Registrai La Sicilienne un po’ anche per nostalgia: è un album folk. Poi ho fatto altri progetti “live”, con un gruppo che si chiamava Little Sicily, dove privilegiavo le musiche da danza. Ora è da un anno e mezzo che giro con il concerto Un vol vers la Sicile (“Un volo verso la Sicilia”) nel quale mi esibisco con il clarinetto, perché sono una virtuosa di questo strumento, e con un chitarrista. Insieme presentiamo brani di ricerca di compositori siciliani dell’inizio del XX secolo. Tutte queste esperienze sono state formative per consentirmi di avere più chiaro un progetto discografico, che poi si è concretizzato in Femmina. Nel mezzo c’è stata anche una rottura nella mia vita privata che mi aveva fatto ritardare la pubblicazione del nuovo album. Però questi anni per me sono stati un momento di ricerca di un suono personale che sia più rock, più energico. Penso che con Femmina abbia trovato la mia vera identità musicale e il mio suono».

La sicilienne è un album folk, con largo uso di archi, retaggio della formazione classica di Gera. Femmina, invece, pur continuando a essere legato alla tradizione siciliana, ha uno spirito rock. «È un album a volte con aspetti rock, a volte più folk. È la trasmutazione della tradizione nel mio essere. Per esempio, il singolo Abballati è una canzone che ho scritto, così come La notti libertà e Canzuna: non sono brani della tradizione».

Altri, come Sta terra nun fa pi mia (questa terra non fa per me) riscoperta di una canzone sull’emigrazione degli anni Venti di Rosina Gioiosa Trubia, attingono alla tradizione per essere riportati ai nostri giorni con arrangiamenti moderni e raffinati. La ninnananna di Figghia mia, un loop di chitarra con un contrappunto di violoncello e percussioni, si conclude con un coro di giovani donne nello spirito del compositore estone Arvo Pärt. «I cori sono stati scritti da me ispirandomi ad Arvo Part che adoro per le sonorità quasi religiose, spirituali: è un brano che va molto sul modale. Questa ninna nanna rock è un omaggio a tutte le madri, in tempo di pace come in tempo di guerra».

In Amuri ca di notti riemergono le reminiscenze classiche. «La mia è una formazione classica», spiega. «Ho cominciato a studiare la musica a 7 anni, solfeggio, clarinetto. Ma ormai non faccio più riferimento a un determinato stile di musica, a un certo punto ci serviamo di tutti gli elementi. Però è vero che la musica classica mi sta molto a cuore anche quando prendo delle decisioni artistiche. Si avverte in Amuri ca di notti con un arrangiamento di archi di Diana Buscemi, giovane compositrice siciliana, di tessitura classica che dialoga con una chitarra elettrica distorta».

La scelta di un repertorio legato alle tradizioni popolari siciliane è dettata dalla nostalgia della migrante o è una scelta artistica, basata anche sulla constatazione che esiste un terreno fertile per questa musica anche fuori dall’Isola?

«La Sicilia è stata sempre il filo conduttore nella mia vita, non è una scelta artistica perché c’è un terreno fertile, è una scelta naturale. Ho avuto sempre un profondo sentimento di identità e avevo bisogno di ritrovare me stessa nelle mie origini. Quello che c’era della Sicilia dentro di me non si è mai spento, perché io mi sento una vera siciliana, come dico nella canzone Abballati. L’Isola è il luogo dove sono nata, è il luogo che mi ha formato, il luogo che mi ha dato tutti i valori. Era quindi necessario ripescare da queste origini, da questa infanzia, da questa magia anche. Penso che quando si abita lontano la si vede e la si sente un po’ più forte».

Che cosa la Francia ti ha dato di più rispetto alla Sicilia?

«Dico sempre che sono divisa in due parti: in Sicilia sono cresciuta, ho studiato, mi ha dato tanto. La mia famiglia abita in Sicilia, io sono siciliana, è la mia patria, la mia terra natìa. In Francia abito già da quindici anni e per me è il mondo da adulta, il mondo del lavoro, della crescita. È un luogo dove, secondo me, conosciamo meglio noi stessi di fronte alla diversità degli altri. Parigi è una metropoli, una città multiculturale, multietnica, possiamo vedere tutto, incontrare tutti, sempre, in ogni momento. Ma, soprattutto, mi ha fatto conoscere me stessa, le mie capacità di stare nel mondo». 

Altre cantanti siciliane hanno trovato spazio in Francia, penso a Maura Guerrera a Marsiglia. Oltr’Alpe forse c’è una maggiore apertura?

«La Francia è un Paese molto aperto a tutte le culture storicamente. Non credo però più dell’Italia o di un altro Paese. Qui è il sistema dello spettacolo che ha una organizzazione migliore, che permette agli artisti di realizzare i propri progetti in una maniera più facile. Ci sono più sale di spettacolo sovvenzionate, più sostegni per gli artisti».

Prossima tappa?

«La creazione dello spettacolo legato al nuovo disco, vogliamo realizzare uno concerto che vuole essere qualcosa da vedere, che possa rispecchiare questo universo che ho creato con Femmina. E spero di portarlo anche in Sicilia».

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