Playlist

Playlist #63. La dolce tristezza di Cassandra

– Le uscite discografiche più interessanti della settimana. Il delizioso nuovo album di Cassandra Jenkins, cantautrice di New York. L’incredibile successo dei Cigarettes After Sex snobbati dai mass media
– Rema riafferma di essere il futuro dell’Afropop, mentre Johnny Burgos giostra sui territori della black music di ieri e oggi.  Il terzo album di Claire Cottrill affonda più in profondità in un suono soft-rock
– I Kasabian strizzano l’occhio al mercato. Alessio Bondì si rivolge a Santa Rosalia per curare la “Santa Malatia”. Lo “shopaholic pop” di Angelica Lubian. Dal Texas Angela Jardina: papà siciliano, madre thailandese

“Petco”, Cassandra Jenkins

Sebbene sia un album così denso di tristezza e solitudine, My Light, My Destroyer di Cassandra Jenkins è facile da ascoltare. Scivola deliziosamente tra i generi. Nelle prime quattro tracce l’artista di New York segue lo stile cantautorale acustico, dalla chitarra di Devotion all’alt-rock distorto di Clams CasinoDelphinium Blue si adagia sul pop progressivo degli anni Ottanta (Blue Nile, Prefab Sprout e i Roxy Music dell’era Avalon) e poi registrazioni sul campo e l’astrazione di Shatner. In Petco le chitarre distorte in stile Pixies sono levigate dal tono sussurrato della sua voce e dalla dolcezza della sua melodia.

Cinque brani sono strumentali, e vanno da un pezzo per violino e violoncello a ottoni jazz e improvvisati, conditi con una registrazione di Jenkins che discute di astronomia con sua madre E, ancora, il soft-rock anni Settanta imbottito di ottoni e ritmi che sbattono sorprendentemente vicino al drum’n’bass. C’è un momento stupendo alla fine di Devotionin cui i testi diventano momentaneamente ottimisti e si viene investiti da un’ondata di ottoni. 

La dolce tristezza è una descrizione che si adatta a My Light, My Destroyer. È doloroso ma bello.

“Tejano Blue”, Cigarettes After Sex

Nel 2016, un brano vecchio di quattro anni di una band di Brooklyn in difficoltà chiamata Cigarettes After Sex esplose su YouTube, e presto il marchio di minimalismo frizzante e malato d’amore del gruppo ha fatto il tutto esaurito nei club di tutta Europa. Sebbene largamente ignorati dai media, le ballate essenziali e cristalline della band hanno nuovamente preso fuoco online – questa volta su TikTok – accumulando quasi 10 miliardi di stream in tutto il mondo. Otto anni dopo, lo stesso schema si è ripetuto su scala molto più ampia per l’uscita del terzo album X’s e il conseguente tour mondiale con tappe da tempo “sold out”.

Il loro successo è anche il punto culminante nell’ultimo revival retrò del rock, per lo shoegaze e il dream-pop, termini opportunamente nebulosi per una gamma di musica degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta. Anche se i Cigarettes After Sex ritengono più adatti per la loro proposta musicale i riferimenti a una tradizione di canzoni d’amore classiche e lunatiche, da Marvin Gaye a Françoise Hardy e Al Green.

“Sufferer”, Joana Serrat

L’album Big Wave inizia con un big bang. La traccia intitolata The Cord in poco più di tre minuti martellanti sconvolge le nozioni disponibili su cosa aspettarsi da un disco della cantautrice catalana Joana Serrat. La canzone termina con il un ritornello ripetuto da una voce che sembra provenire dalla colonna sonora di un film horror a basso budget degli anni Ottanta: possesso demoniaco o una registrazione sul campo di un esorcismo voodoo? 

C’è distorsione e una turbolenza brulicante in quasi tutto l’album, tanto inquietante quanto indimenticabile. SuffererTight To You e The Ocean sono pieni di correnti underground. Big Lagoons è un lungo crescendo. Soltanto A Dream That Can Last, la carina Are You Still Here? e This House, la voce di Serrat, in contrasto con il pianoforte a coda di Jesse Chandler, offre asilo dallo sconvolgimento generale.

“Benin Boys”, Rema

L’album Heis di Rema si apre con la risatina della caratteristica della centrale elettrica Afrorave, ma ti porta in un territorio sconosciuto con gli avvincenti e synth-heavy March Am e Azaman. Mescolando archi orchestrali, tamburi e (sul primo) il motore di giro di un’auto, queste gemme energetiche riaffermano Rema come un vero scienziato del ritmo.

Per tutto il disco il colosso nigeriano capisce come esercitare la sua voce come strumento aggiuntivo. Su Hehehe, alza il tono con un atteggiamento beffardo, dichiarando: “Non la prenderò comoda con il mio hater”. Nella frenetica Ozeba si avverte una nostalgia per gli afrobeats del 2010 e il suo flusso è simile alla batteria rotolante che sentiamo in altre tracce di Heis.

“Get Back”, Johnny Burgos

Il cantante, cantautore e produttore di Brooklyn Johnny Burgos converge con il veterano produttore soul, Jeremy Page, (Kendra Morris / Czarface / MF Doom) per offrire il loro primo album insieme, All I Ever Wonder. È un suono intriso di tecniche soul retrò, in parti uguali fra novità e nostalgia, pari a un’atemporalità che parla a tutti. Sebbene il soul sia il filo connettivo che corre in tutto l’album, le sue influenze sono comunque varie.

Dai groove R&B che fanno schioccare le dita dell’apertura Plays For Keeps, alle ispirazioni afro-tropicali di Puddin’s In The Proof, passando attraverso le vibrazioni disco-funk di Something’s Gotta Give, il rap in Trust Issues o le splendide ballate soul retrò come la title track. Su Get Back, Burgos sfrutta il potere dell’R&B per costruire un inno su come andare avanti ma mantenere vivi i ricordi. 

“Coming Back To Me Good”, Kasabian

Il nuovo lavoro dei Kasabian, Happenings, raddoppia l’attacco robo-rock del suo predecessore, ma infonde una serie di trame più calde nella sua energia familiare. Anche se non è una regressione retrò, un calore analogico attraversa la maestà della palla da discoteca di Darkest Lullaby e Passengers. I testi di Pizzorno sono sinceri e pieni di vigore (“sei un’icona / non scendere mai a compromessi / devi essere forte / l’amore troverà sempre un modo”, canta in G.O.A.T.).

La colorata affabilità dell’album è incapsulata dal meraviglioso singolo Coming Back To Me Good. Pieno zeppo di chitarre ventilate, melodie inebrianti: un brano fresco, solare, estivo, leggero, uno dei più dolci che i Kasabian abbiano mai realizzato. 

“Slow dance”, Clairo

L’album Charm non segna un cambiamento drammatico per Clairo. Dopo aver raggiunto la fama virale da adolescente grazie ai suoi caricamenti su YouTube dolcemente lo-fi, Clairo ha pubblicato Immunity, il suo sorprendente debutto prodotto da Rostam Batmanglij. Poi si è trasferita nello Stato di New York, ha collaborato con il produttore Jack Antonoff e si è rintanata nel bosco per fare Sling. Se Immunity mostrava la parentela di Clairo con i beniamini del bedroom pop, Sling s’inchina davanti all’altare di Carole King, un album pastorale e folky che sembrava del tutto disinteressato a inseguire il suo passato o a raggiungere nuovi successi pop.

Per fare Charm, Clairo ha lavorato con un altro nuovo produttore, Leon Michels. Insieme, hanno scavato più a fondo nella tavolozza degli anni Settanta che Clairo aveva sviluppato su Sling. Il brano Slow Dance termina con flauto e clarinetto svolazzanti; Terrapin è pieno di fioriture di pianoforte. 

“Santa Malatia”, Alessio Bondì

Solitudine, tensione, delirio, estasi, questa è la Santa Malatia di Alessio Bondì, il nuovo brano del cantautore siciliano. Il brano esce nell’ambito del programma “Per chi crea”, due giorni prima del 400esimo Festino di Santa Rosalia e alla Patrona di Palermo il brano si rivolge: «Un’insostenibile solitudine espressa da una melodia pizzicata, poi la tensione che esplode in un terremoto ritmico col quale irrompe “l’estraneo che ho dentro”», spiega l’autore. «Il delirio e le invocazioni a Santa Rosalia attraversano tutta la notte. L’alba risolve la solitudine, il veleno rivela la sua cura e inizia una festa di paese scatenata, fatta di balli ed estasi collettiva».

“A sé stante”, Angelica Lubian

«Ho fatto un sogno in cui Freud sognava Jung che sognava di mangiare frico e polenta mentre St. Vincent faceva il dito a Thom Yorke. Poi c’era Kate Bush che cercava un dente per terra e Stanis La Rochelle che guardava i lavori in corso stile umarell. Ho dovuto scrivere questa canzone!», racconta la cantautrice friulana presentando lo “shopaholic pop” di A sé stante. «È come babbo Natale, in realtà non esiste», spiega. «È un “genere” inventato da me a racchiudere ironicamente i concetti espressi dalla canzone, per trasmettere un messaggio riflessivo che mette in discussione la cultura del consumismo con la “leggerezza” e l’accessibilità del pop».

La protagonista del brano, tra marce imperiali e code di paglia, ci porta in un viaggio attraverso ceretta, shopping, shampoo, piega e ristorante, dove la superficialità̀ e i beni materiali sono l’unica cosa che conta. Con frasi provocatorie come “si sa che fai presto a montarti la testa purché non sia Ikea”, Lubian sottolinea con ironia l’assurdità di certi atteggiamenti snob e arroganti che possono appartenere a qualsiasi persona, indipendentemente dal genere. Attraverso un contrasto tra realtà e apparenza, la canzone pone la domanda: dove è il limite della libertà personale, del giudizio, della calunnia, dell’autogiustificarsi per essere “fatti così”?

“Sacrilegous”, Angela Jardina

Papà siciliano, madre thailandese, lei è nata nel 2001 a Bangkok e attualmente vive a Houston, in Texas (Stati Uniti). La dualità culturale ha arricchito la sua vita e la sua arte, permettendole di esplorare e fondere influenze e sensibilità musicali diverse. La sua infanzia è stata segnata dall’amore per l’Italia e per la musica italiana, ascoltando artisti come Lucio Dalla, Mina e Pino Daniele. La sua più grande fonte di ispirazione è Amy Winehouse, artista a cui si è sempre sentita molto affine musicalmente. Angela ama cantare Blues e R&B, dilettandosi nell’improvvisazione ed esibendosi localmente in una cover band dall’età di 16 anni.

Sacrilegous è un brano dalle sonorità pop-soul con influenze R&B che esplora la complessità delle emozioni all’interno di una travagliata relazione d’amore. Il testo, scritto interamente dall’artista, intende esprimere la frustrazione e il dolore che emergono quando i segreti e la mancanza di trasparenza minano il legame tra due persone. Angela intrattiene un dialogo intimo e diretto con il partner, cercando di liberarsi dal peso delle ombre che gravano sulla relazione. Il brano, allo stesso tempo, non è solo un’espressione di vulnerabilità, ma anche una chiamata alla sincerità e all’onestà. La voce intensa di Angela riesce perfettamente a evocare e comunicare queste emozioni, grazie alla sua attitudine e al suo groove blues.

«Ho scritto Sacrilegous per esprimere il dolore e la delusione provati in una relazione segnata dalla falsità e dall’egoismo», racconta Angela Jardina. «Spero che chiunque l’ascolti possa trovare conforto e forza nelle mie parole e nella mia musica».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *